Il Medio Evo del Gambrinus
di Antonio La Gala
Il Gambrinus è una delle "glorie" riconosciute della nostra città. Anche le personalità più autorevoli che visitano Napoli non rinunciano a farvi una capatina per il caffé. Ciò conferma e perpetua la sua fama di Caffé più rappresentativo della città.
Sembra perciò inverosimile che nel suo passato ci sia stata una chiusura, una parentesi, pur se, all’epoca, qualcuno scrisse: “certo nessuno rimpiange il Gambrinus, e sarebbe inopportuno anche il più modesto elogio funebre”.
Anche il Gambrinus, quindi, ha attraversato un suo Medio Evo.
Nei primi giorni dell’agosto 1938, infatti, il locale (come recitava la stampa quotidiana), “ridotto a trascinare una vita grama che aveva fatto dimenticare il suo passato pieno di animazione e di vita”, chiuse, dopo che “tutti i tentativi fatti per infondere al locale una nuova vita riuscirono vani e non fecero che snaturare il carattere signorile del locale, screditandolo”.
Con poco rispetto per pensionati e forestieri, la pubblicistica dell’epoca si doleva che il Gambrinus “era ridotto a ritrovo di funzionari in pensione (sic!) e di qualche provinciale di passaggio”.
Probabilmente la vita anche degli altri Caffé dell’epoca doveva essere sofferta. Un redattore coevo, commentando la chiusura del locale, scriveva che “col trasformarsi delle abitudini e il moltiplicarsi dei Circoli e dei bar, i Caffé hanno perduto la fisionomia particolare che ognuno aveva un tempo. La vita moderna non consente più le lunghe soste nelle botteghe da caffé e la gente ha troppa fretta e non è più consentito oziare e perder tempo”.
Eppure il passato del Gambrinus era illustre: nella seconda metà dell’Ottocento era il ritrovo più elegante di Napoli. Prima di intitolarsi al re della birra, si chiamava “Gran Caffé d’Europa”.
Nel 1890 ne assunse la gestione Mariano Vacca, che volle decorarlo artisticamente, affidandone l’incarico ad Antonio Curri, fantasioso architetto decoratore, che chiamò a collaborare i migliori pittori e scultori locali dell’epoca. Curri ideò i motivi decorativi in cui furono incastonate le pitture a pastello e ad acquarello di artisti di primo livello, tanto per citare solo qualcuno, come Gaetano Esposito, Vincenzo Migliaro,Vincenzo Volpe, Atttilio Pratella, Salvatore Postiglione, Vincenzo Caprile; Pietro Scoppetta, Francesco Casciaro, Vincenzo Irolli, Francesco Paolo Michetti, Eduardo Matania. Le statue che adornavano le sale erano opera di Vincenzo Alfano, Saverio Sortini, Giuseppe Renda, Francesco De Matteis. Gli stucchi erano di Salvatore Cepparulo.
Il Gambrinus per decenni diventò il centro della vita cittadina, uno dei simboli più celebrati della bella èpoque napoletana. Nelle prime ore del pomeriggio si animavano i tavolini dei politici; più tardi comparivano professori universitari e accademici. La sera il locale assumeva un aspetto mondano ed era gremito di ufficiali di cavalleria del reggimento allora di stanza a Napoli, di signore in abito da sera e della gioventù salottiera. Una saletta a parte era riservata quasi esclusivamente ad artisti e letterati. A tarda sera nel Gambrinus si riversava il pubblico elegante che usciva dal San Carlo, intrattenendosi fino a tardi per commentare gli spettacoli.
Tanta gloria, con il trascorrere del tempo, diventava sempre più ricordo del passato, fino alla chiusura, quando i suoi locali furono trasformati in un’Agenzia del Banco di Napoli.
Per fortuna dei posteri, cioè noi, le Sovrintendenze si preoccuparono della conservazione delle opere d’arte che si trovavano nello storico Caffé, vigilando sui lavori di adattamento dei locali.
Le pitture, le sculture e gli stucchi, che nel frattempo erano andati degradandosi, furono restaurati. I grandi specchi furono conservati, nascosti da pannelli di stoffa.
Ciò ha consentito, appena se ne è presentata l’opportunità, di restituire il locale alla sua antica e gloriosa funzione di ritrovo di prestigio, conservando la fisionomia originaria, seppure ovviamente aggiornata ai nuovi tempi. Dopo la riapertura del 1952, sono scomparsi gli ufficiali di cavalleria, i Migliaro e i Pratella. Ma il ricordo di quel mondo, in quelle sale, ci viene rievocata dalle figure incorniciate dagli stucchi che ci guardano mentre sorseggiamo un caffé.
(Aprile 2021)