Il pittore Gaetano Ricchizzi
di Antonio La Gala
Figura singolare di uomo e di artista, Gaetano Ricchizzi, (Napoli 1879 - Napoli 1950), è fra i pittori più noti, fra quelli del suo periodo, che vissero e dipinsero al Vomero.
Rosso di viso e di capelli (Luca Postiglione disse di lui che "sembrava nutrito di papaveri"), aitante nel fisico, spavaldo, superbo, impulsivo, ribelle, anticonformista, una specie di "artista guappo", dalla parlata colorita, mostrò subito il suo carattere insofferente e turbolento, fin da quando frequentava l'Istituto di Belle Arti, dove era allievo di Michele Cammarano, che definì Ricchizzi "un simpatico birbone di talento".
Irrequieto, randagio, condusse una vita desolata e per lo più in amara solitudine.
Sposata una sua allieva, ne ebbe una figlia, ma il matrimonio non durò a lungo. Restò solo con l'unico affetto della figlia, che però sposò un impiegato con cui andò a vivere a Roma, lasciando il padre, tranne brevi visite, in solitudine.
Il pittore, nei primi decenni del Novecento, lo troviamo abitare in via Belvedere, e poi al primo piano del grosso fabbricato che fronteggia la Basilica di San Gennaro al Vomero, vicino Antignano, fabbricato in cui vivevano altri pittori e scultori.
Negli ultimi tempi della sua vita il pittore era diventato melanconico. Trascinava la sua melanconia per le vie del Vomero, soffermandosi davanti a un caffè, dove aveva modo di discutere e polemizzare. Gli ultimi tre anni, poi, li visse con molta sofferenza anche fisica, a causa di gravi problemi bronco-polmonari.
L’irrequietezza esistenziale del Ricchizzi si rispecchia nella sua turbolenta vicenda artistica.
Dell'insegnamento del Cammarano presso l'istituto di Belle Arti gli rimase l'ispirazione dal realismo, l'essenzialità cromatica e la solidità della composizione. Dopo un po’, lasciò l'Istituto per andare "a lezione privata" da Tommaso Celentano. Un altro allievo del Celentano, il pittore Carlo Siviero, racconta che Ricchizzi "aveva il dono naturale del colore e seguiva malvolentieri i rigori del maestro che lo costringeva alla severa disciplina del disegno".
Nel primo decennio del Novecento, assieme ad altri allievi della scuola del Celentano, Gaetano Ricchizzi s'impegnò fieramente per far lievitare la vita artistica della città. Nel 1904 fondò il quindicinale "Le Arti, Corriere degli Artisti"; contribuì a fondare il combattivo periodico "Pro Arte" e si adoperò per resuscitare l'associazione Promotrice "Salvator Rosa", che languiva da alcuni anni. Guadagnò la simpatia della critica "socialmente impegnata" con un quadro, "La rivolta", del 1904, quadro che gli valse un primo premio ex-aequo. Il dipinto illustra un episodio dei moti popolari del 1898.
Per tutta la prima metà del secolo lo troviamo fra gli artisti vomeresi più impegnati a promuovere mostre e manifestazioni in collina.
Attaccato tenacemente alla sua casa, al Vomero e a Napoli, non frequentava mostre, pubblico e critici che fossero lontani da Napoli, autocondannandosi così ad una vita di provincia.
La sua produzione era incostante; spesso non finiva le opere o ne prolungava l'esecuzione oltre misura. Luca Postiglione racconta che, quando non dipingeva da un po’ di giorni, si sfogava bestemmiando e sferrando pugni sul tavolino del caffè, presso cui era seduto, facendo urtare e traballare tazze e bicchieri.
Polemico con colleghi e clienti, era pronto all'autovalorizzazione, contrapposta al disprezzo degli altri artisti, e spesso trattava male anche chi gli commissionava il proprio ritratto, litigando durante la posa, fino ad interrompere il lavoro.
Aveva fatto stampare sulla sua carta da lettere il motto "Spiacer mi piace".
Di lui si racconta anche che, quando nell'aprile 1950 passò sotto le sue finestre il corteo funebre dello scultore Filippo Cifariello, si affacciò sghignazzando verso le persone che seguivano il feretro, perché, a suo dire, queste avevano tramato fino a poco prima contro lo scultore, ed ora, nel corteo, fingevano dolore (più o meno come capita anche oggi, quando muoiono personaggi importanti).
La discontinuità nella produzione, accompagnata dalle asprezze caratteriali, restringevano sempre di più la cerchia degli amici e le occasioni ufficiali della vita artistica napoletana in cui mostrare (e vendere) i suoi quadri.
Ricchizzi, oltre ad essere anche autore di paesaggi e di nature morte, fu prevalentemente un ritrattista dal tratto forte ed essenziale, eccellendo e acquistando fama in questo genere. Scrive di lui il critico Alfredo Schettini: "Una spiccata facoltà percettiva gli consentiva di penetrare la psicologia del soggetto e coglierne i tratti individuanti, sicché la tela offriva non la semplice diligente ricostruzione somatica, ma una fisionomia, uno sguardo, un atteggiamento dai quali sembrava affiorasse l'intima e autentica personalità".
Il suo amico e biografo Luigi Manzi afferma che, nel ritratto, Ricchizzi riportò la sua natura violenta e combattiva, "non si piegava a carezzare il soggetto, se mai lo affrontava duramente raggiungendo più spesso pienezze di effetti talvolta sorprendenti. E' facile comprendere che nell'arte del ritratto - che ha una stretta parentela con l'elogio - un tal modo di procedere non fosse troppo gradito alla clientela, che diradava sempre di più, onde egli (....) si diede nei momenti di esaltazione e di dispetto, a ritrarre se stesso".
L'immagine che accompagna questo articolo raffigura la chiesetta seicentesca di Santa Maria di Costantinopoli ad Antignano, abbattuta nel 1933, che stava all’inizio di via D’Annibale e che Ricchizzi vedeva dalla finestra della sua abitazione.
(Luglio 2021)