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L'antica scenografia del San Carlo

 

di Antonio La Gala

 

Nell’articolo pubblicato il mese scorso, abbiamo tratteggiato la figura dell’architetto Antonio Niccolini; nell’articolo di questo mese vogliamo evidenziarne l’attività di scenografo del San Carlo, prendendo spunto da un libro pubblicato nel 1980, forse ormai reperibile solo nel mercato antiquario: Franco  Mancini, Scenografia napoletana dell'Ottocento, Antonio Niccolini e il neoclassico, Edizioni Scientifiche Italiane, che racconta e descrive il mondo della scenografia teatrale del periodo borbonico: vicende, ambiente e personaggi che hanno dato vita alle rappresentazioni del San Carlo.

Il mondo della scenografia teatrale napoletana, dalla fine del Settecento fino ai primi anni dell'Otttocento, fu dominato per poco più di un ventennio dal toscano Domenico Chelli, ma gradualmente, un pò per una certa sua incapacità  ad adattarsi al clima del ritorno al classicismo e sia per vicende personali, legate agli eventi politici napoletani di quegli anni, Chelli dovette  lasciare la scena (è proprio il caso di dirlo), ad altri.

Non essendo emerso fra i suoi allievi qualcuno in grado di succedergli degnamente, nel 1806 come scenografo teatrale di spicco fu invitato un altro toscano, Antonio Niccolini, ricco di esperienza, nonostante la giovane età, che a sua volta dominò il mondo della scenografia  napoletana per circa mezzo secolo.

Niccolini, assieme al fratello Giuseppe, già da una decina d'anni si era fatto notare in Toscana per il "raffinatissimo moderno gusto" ispirato al mondo classico, in specie a quello greco. Nel 1822 gli fu affidata la direzione della scuola di scenografia, appena istituita presso l'Accademia.

Niccolini s’interessava di varie branche artistiche, come dimostra oltre alla sua attività, la sua saggistica, che va dall'architettura alla pittura, dall'archeologia ai mosaici. Nei fatti profuse il suo maggior impegno nell'attività di architetto, tuttavia mantenne il suo interesse per il teatro, tenuto a livelli di altissima professionalità. Come egli stesso dichiarò, nel 1848, nella relazione "Ai signori componenti la commessione incaricata di esaminare l'andamento del reale istituto per le Belle Arti e quello delle scuole per gli artieri", fu notevole l'osmosi fra l'attività di scenografo e di architetto. Infatti scrisse: "Ma il mio insegnamento in Napoli delle belle arti non incomincia con la fondazione dell'Istituto. Fino dall'anno 1806 invitato a rimpiazzare il vecchio Chelli nella Scenografia de' Reali teatri feci vedere con la illusione del vero [cioè attraverso edifici realmente costruiti n.d.r.] tutti gli edifizi di ogni nazione e di ogni tempo. Così che il casino del marchese Gensano [Villa Majo al Vomero n.d.r.] nell'esterno, come nell'interno e ne' mobili fu tratto dal soggiorno di Ottavia che volle aver simile nella sua delizia. Così il casino gotico di Villa Ruffo fu per suo ordine tratto dalle mie scene di Riccardo Cor di leone. Lo stesso dicasi della torre e del giardinaggio del duca di Gallo, ora di S.M. la Regina Madre. Egualmente che quello del duca di Noja in Napoli, quello del principe di Caramanica alla Barra e quello del conte di Camaldoli, ecc, ecc.".

Solitamente s’immagina l'attività degli artisti tutta immersa nell'ispirazione e nella contemplazione, ma, scorrendo le pagine relative alla loro corrispondenza, si rilevano anche momenti di quotidianità "pratica", a cui talvolta non si pone mente, Nel caso di Niccolini troviamo lettere legate a contrattazioni, ritardi, solleciti nei pagamenti delle scene. Divertente è la lettera del 1848, indirizzata al Soprintendente de' Teatri e Spettacoli, in cui Niccolini racconta del rischio corso dagli spettatori quando "a teatro pienissimo" alcuni "malfattori" si erano intrufolati "fra il soffitto della platea del Reale Teatro San Carlo, ed il tavolato su cui si dipingono le scene, in uno spazio di circa quattro palmi, praticabile soltanto da chi lo percorra a carponi", per rubare parte delle "viti che univano insieme le ferrature delle aggiunzioni delle travi". Nella stessa lettera Niccolini si compiace che i malfattori non avevano preso, perché non ne conoscevano il valore, "la cassa posta in quello interspazio che conteneva metà della corda del lampadario, composta di fili di rame e di ferri dorati".

Il libro sopracitato da cui abbiamo tratto queste informazioni, è molto documentato storicamente e presenta una ricca iconografia. Espone, poi, sotto forma di schede, il "repertorio", delle scenografie degli spettacoli che si sono rappresentati nel massimo teatro napoletano dal 1807 al 1841 e riproduce disegni e bozzetti delle scene teatrali curate da Antonio Niccolini, disegni che sono accompagnati da dettagliati prospetti esplicativi.

Il libro comprende anche una raccolta di documenti e di corrispondenza dell'epoca, ed accurati indici analitici. A nostro avviso la pubblicazione può essere considerata esaustiva sull'argomento.

(Febbraio 2022) 

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