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REPORTAGE DALL’UCRAINA

“Viaggio tra la gente scampata dalle bombe e i feriti ricoverati in ospedale”

 

A cura di Luigi Rezzuti

 


Giovanni e Daniele due reporter di una emittente televisiva italiana sono a Dnipro, dove il russo è la lingua corrente ma nessuno vuole diventare russo.

I due reporter si immergono completamente nella realtà della guerra nelle sue storie di sofferenza.

Visitano le strutture di accoglimento dei profughi e l’ospedale dove arrivano decine e decine d feriti.

Sono passati nove mesi dall’invasione cominciata con una colonna di chilometri di carri armati russi che puntavano verso Kyev.

Nove mesi durante i quali sono morte migliaia di persone, soldati e civili, sono state ritrovate fosse comuni lasciate sul campo dai militari dell’esercito russo, ci sono state deportazioni forzate di cittadino ucraino dalle zone occupate verso la Russia e poi violenze e soprusi.


E la pace? Sembra lontana anche se la controffensiva sul campo delle truppe di Zelenski, che ha permesso di riconquistare decine di villaggi e 3.000 chilometri quadrati di territorio e l’azione congiunta di sanzioni e invio delle armi da parte delle Nazioni occidentali., stanno mettendo in grande difficoltà gli invasori.

Alcune persone del posto accompagnano Giovanni e Daniele a vedere con i propri occhi tutte le atrocità, i crimini di guerra del dittatore Putin.

E’un’immersione completa nella realtà della guerra e nelle sue storie di sofferenza.

Giovanni e Daniele vanno a visitare le strutture di accoglienza dei profughi, incontrano Sarhili, 23 anni, ha subito l’amputazione di un piede, spappolato sun una mina; Elena proveniente da Pokrovsk, cittadina della regione del Donetsk, che racconta: “Sono stata prima picchiata più volte e poi violentata dai militari russi”.

Nella stessa stanza dell’spedale Luba, 14 anni, e a sorella Valeria di 10 scampate dalla stessa città, sotto le bombe, ora vivono qui con la mamma.


Oxana, 12 anni, va incontro a Giovanni e Daniele sfoderando il suo inglese e mostra contenta un suo gattino. E’scappata dal suo villaggio con la mamma, la sorella Milana si intristisce e si emoziona quando incominci a raccontare le loro disavventure di guerra.

Yulia, con l’anziana madre e il figlio piccolo ha lasciato Lysychansk, una città di 100.000 abitanti nella regione di Lagansk e racconta la sua storia che è quella di tanti altri: “Era impossibile vivere lì, la nostra casa è stata completamente distrutta. Oggi li non ci sono elettricità, gas, acqua corrente, la gente cucina sul fuoco per strada o nei cortili. Abbiamo contatti sporadici tramite amici, sappiamo che i russi hanno fatto un referendum anche li. Che senso ha, la popolazione è scappata in Europa, chi è rimasto è perché non c’è l’ha fatta ad andarsene. Nessuno vuole diventare russo, quei pochi che sono in Russia li hanno deportati”.

Kostia, 32 anni, minatore di carbone, viene da Vugledar, nella regione del Donetsk, la città e il suo ospedale sono stati bombardati dai russi e racconta: “I bombardamenti erano quotidiani, ci siamo rintanati nei rifugi sotterranei, i russi hanno sferrato un grande attacco, io e un amico siamo stati colpiti da un colpo di mortaio, lui ha perso una gamba e un braccio, io sono stato ferito gravemente alle mani, allora non ho potuto fare altro che scappare, aiutato dai soldati ucraini”.

Nel racconto Kostia diviene un fiume in piena: “i russi devono essere isolati dalla società civile con sanzioni, altro che liberazione, quello che stanno facendo è un genocidio, se qualcuno pensa che noi dobbiamo smettere di combattere, dovrebbe venire qui. Se noi smettessimo, perderemmo la nostra libertà e anche la nostra vita”.

Nella stessa struttura di accoglienza vi sono persone disabili e famiglie numerose che non hanno potuto ancora trovare una sistemazione o che, semplicemente, non vogliono saperne di andarsene lontani, in un paese che è di loro, rimangono vicini alla loro terra.

Uno di loro racconta: “quando è cominciata la guerra a Kharkiv era difficile capire cosa stesse succedendo, ci siamo rifugiati nei tunnel della metropolitana, come quasi tutti quelli che non hanno potuto scappare. Siamo stati svegliati dalle bombe russe all’alba, poi Kharkiv è stata bombardata molte volte al giorno e anche di notte. Abbiamo passato quattro mesi così, poi siamo venuti qui e ora aiutiamo gli altri profughi. Ora a Kharkiv si vive meglio, perché i nostri soldati hanno spinto via i maledetti”.

Nella stessa struttura si trovano molti anziani, anche loro partecipano alla difesa del paese producendo reti mimetiche e quant’altro di utile riescono a fare per i soldati ucraini.

Giovanni e Daniele si recano all’ospedale principale della città, è l’ospedale di riferimento per i soldati feriti che arrivano dalla prima linea, decine ogni giorno.

Medici e infermieri lavorano e operano giorno e notte, molte sono le amputazioni, Oleksi e Olexandr hanno studiato assieme all’università, ora il primo è il primario del reparto di traumatologia ortopedica e il secondo è chirurgo vascolare nel reparto politraumatizzati.

Hanno appena terminato di operare e anche se stanchi parlano volentieri del loro lavoro: “Non mancano risorse umane e competenze professionali di ottimo livello, c’è grande bisogno invece di strumenti diagnostici moderni”.

In una stanza trovano in quattro letti i soldati feriti, non sembrano stare male, anche loro non hanno remore a parlare di quello che gli è accaduto.

Vladimirio e il suo compagno di stanza hanno subito le operazioni per la riduzione di importanti fratture e anche loro hanno voglia di parlare: “vogliamo tornare al fronte appena sarà possibile, siamo motivati, vinceremo di sicuro, ma non abbiamo abbastanza armi moderne. Dateci più veicoli blindati per il trasporto dei soldati, voi italiani ne avete di buoni e molto apprezzati in Ucraina. Finiremo prima la guerra”.

L’Ucraina che Giovanni e Daniele hanno incontrato e visto di persona oggi è un paese unito dalla sofferenza, dall’orgoglio e dalla volontà di vincere.

(Novembre 2022)

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