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Prima era un’altra cosa

 

di Antonio La Gala

 

Fra i luoghi comuni più comini della nostra città luoghi comuni merita un posto d’onore quello che, con lacrime di coccodrilli, tiene banco da decenni: Lauro, lo scempio, i palazzinari, Rosi e "Le mani sulla città", e tutto il trito e stucchevole repertorio sull'argomento. L’anatema si limita al secondo dopoguerra.

Chi si scaglia, giustamente, contro la stagione postbellica delle nefandezze urbanistiche (laurine e, per obbiettività, anche abbondantemente post laurine), non riflette abbastanza sul fatto che quella stagione non è stata un momento anomalo nella storia della città, ma piuttosto uno dei punti di una coerente linea di continuità storica.

I corifei che si stracciano le vesti per le edificazioni del secondo dopoguerra, non dedicano nemmeno un attimo a riflettere sulle edificazioni dei periodi precedenti, per capire se esse erano diverse; se erano diversi gli uomini che le hanno gestite; se erano diversi i meccanismi; se c'erano o no intrallazzi; se Napoli prima del dopoguerra era tutta un giardino fiorito oppure no, ecc. ecc.

L’epicentro del luogo comune è “lo scempio del Vomero”

E' oggettiva constatazione che uno dei luoghi che più ha sofferto l'offesa palazzinara postbellica è stata la collina, in particolare quella vomerese.

E' troppo facile dimostrare la sciaguratezza con cui è stato espugnato il Vomero: paesaggio scomparso, preesistenze storiche disperse, antiche ville abbattute, ecc. ecc.

Io stesso, nei miei libri sull'argomento, non vado per il sottile nelle critiche.

Però mi pongo una domanda.

Quando nel 1885 sono saliti in collina i primi costruttori per erigere i palazzi di Piazza Vanvitelli, via Morghen, Scarlatti e Cimarosa, come hanno trattato il paesaggio che hanno trovato, le preesistenze e le ville antiche? Come è stata trattata la risorsa paesaggistica?

Una collina, per motivi orografici, consente il godimento del panorama se l'edificazione avviene mediante edifici bassi sui terrazzamenti che seguono l'andamento dei pendii.

Il "Nuovo Rione Vomero" a fine Ottocento è nato cementificando parte della collina con palazzoni alti trenta metri, allineati, secondo una pianta a maglie quadrangolari, una pianta sabauda buona per la val Padana. Portata sulal collina vomerese, addio panorama per tutti. E per sempre.

Qualcuno si domanda perché? Non c'entra per caso lo sfruttamento dei suoli da parte dei costruttori? Per realizzare più case possibili?

Allora, mi chiedo: in che cosa differiscono i costruttori di fine Ottocento, da quelli laurini e postlaurini?

Le immagini dei fianchi della collina vomerese coperti dal cemento armato posbellico ormai girano il mondo. Piangendo su di esse, i coccodrilli intonano in coro il ritornello "Il verde di prima non c'è più; è scomparso".

Qualcuno ha mai controllato il verde che "c'era" prima? Ha mai guardato le immagini di inizio Novecento in cui compaiono i fianchi della collina su cui spuntano i palazzoni dalle ampie facciate "panoramiche", di Parco Antonina e Parco Marcolini? Ha guardato le cartoline d'epoca che presentano con orgoglio quelle costruzioni?


Mutatis mutandis, nei “parchi” Marcolini, Antonina, ecc. non vi si intravede, qualche antenato della famigerata "muraglia Ottieri" di via Ugo Ricci che incombe su via Aniello Falcone?

Alla muraglia Ottieri non sappiamo più quale insulto aggiungere, perché nella nostra memoria individuale e collettiva da quelle parti c'è il verde pre-Ottieri, perché alcuni di noi lo hanno  visto personalmente e se lo ricordano. Invece chi oggi ha meno di centoventi anni, (cioè tutti), i palazzoni di via Palizzi o di via Michetti li ha trovati e in un certo senso la sua memoria li ha incorporati nel paesaggio, lì da sempre. Della situazione paesaggistica precedente al Novecento nessuno ha visto niente direttamente. Anche attraverso le immagini il "verde" di fine Ottocento nessuno lo ha mai visto, perché nelle foto in bianco e nero il verde appare "nero". Forse lo ha dipinto qualche pittore. Ma, anche i pochi che conoscono i dipinti, pensano che, si sa, i pittori lavorano di fantasia.

Il secondo Novecento non ha distrutto "il verde", ma il verde "residuo".

Senza fare nomi, qualcuno ha mai notato che i nomi dei "parchi" dell'epoca coincidono con i cognomi dei maggiori costruttori del Vomero di fine Ottocento e inizio Novecento?

I sedicenti "parchi" costruiti distruggendo il vero parco preesistente li hanno inventati Otttieri e compagni di merenda nel secondo dopoguerra, oppure gli "Ottieri"di molti decenni prima?

Il palazzo di via Aniello Falcone 191, quello che sta sotto la scalinata che proviene da via Luca Giordano, sotto la Chiesa di San Francesco, anche se è un palazzo "firmato", un palazzo "d'autore", è o no un ecomostro che taglia il panorama? Non è stato costruito nel dopoguerra.

A carico dei costruttori del secondo dopoguerra i corifei dello "scempio" lanciano l'accusa che qualcuno di loro intratteneva buoni rapporti con la politica e gli amministratori pubblici, per riceverne sostegno nella propria attività.

Vero, verissimo.

Ma qualcuno si domanda perché anche i maggiori costruttori del Vomero belle èpoque si presentavano candidati alle elezioni comunali, erano amicissimi dei sindaci e sotto le  elezioni fondavano e finanziavano "Comitati per il bene del Vomero" con tanto di giornale, assieme a qualche leggendario vicesindaco del Vomero?

Una obiezione che i laudatori del tempo passato potrebbero fare è che, comunque, allora si costruivano palazzi signorili, strade larghe, belle ville, e nel dopoguerra invece si sono costruite via Ruta, via Falcomatà e i vicoli del Vomero Alto.

Ciò è incontestabile. Ma perché ciò è avvenuto?

Molti potrebbero rispondere "perché prima le cose erano più serie". Cioè ipotizzano maggiore virtù dei costruttori e degli amministratori. A prescindere dalle Commissioni d'inchiesta nazionali che le amministrazioni napoletane propiziavano anche allora, io avanzo una spiegazione diversa.

Chi erano gli acquirenti delle prime case del Vomero? Delle case  di piazza Vanvitelli, di via Scarlatti, di via Palizzi? Della nascente via Aniello Falcone?

Benestanti dell'epoca.

Chi erano gli acquirenti delle case del Vomero del secondo dopoguerra?

Impiegati che hanno formato cooperative e sottoscritto mutui, indebitandosi a vita.

I costruttori di fine Ottocento, quelli delle case di Piazza Vanvitelli avrebbero venduto ai benestanti belle époque case economiche di sessanta metri quadri, realizzati in strade modello via Falvo o via Capaldo?

I vituperati costruttori del dopoguerra avrebbero venduto agli insegnanti con il mutuo trentennale, alloggi spaziosi tipo quelli del centro Vomero, di via Morghen, panoramici, o le villette di via Palizzi?

Cambiato il mercato, è cambiato il prodotto.

Tutto quanto qui esposto vuole essere solo un invito a non ripetere a pappagallo i luoghi comuni dello "scempio", ma riflettere sul fatto che prima di pontificare assiomaticamente che i tempi andati erano migliori dei nostri, dovremmo prima cercare di conoscerli e analizzarne le logiche. Per scoprire che sono le stesse.

(Febbraio 2023)

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