UNA DONNA CHE VENDEVA POESIE
di Luigi Rezzuti
Eravamo seduti al solito bar, in attesa di radunarci tutti per la consueta uscita del sabato sera.
La primavera ormai si faceva sentire nell’aria. Era così piacevole ritrovarsi all’apert, nel giardino del locale. Gli unici rumori provenivano dal vocio diffuso degli avventori, mentre il traffico sembrava non esistere, lì, in quell’angolo di paradiso.
Presi dai nostri discorsi non ci accorgemmo di una strana figura che silenziosamente si infilava tra i tavoli.
All’improvviso ci apparve davanti. Era una donna esile, di bassa statura, col viso solcato dalle rughe, una donna intorno ai settant’anni con piccole lenti sul naso. Indossava un vecchio vestito, lacero dal tempo, e sussurrava parole in versi.
Tra le mani stringeva un cestino adornato da fiocchi di stoffa quadrettata. Si avvicinò a noi ed inizio a parlare: “Volete comprare una mia poesia?” Lo chiese quasi con timidezza.
Dal suo aspetto si capiva che non doveva essere perfettamente in sè, eppure non era drogata, nè alcolizzata. Si scopriva, guardandola negli occhi, uno sguardo da sognatrice.
Incuriosito la invitai a sedersi con noi, uno dei miei amici le porse una sedia e lei d’improvviso sorrise. felice che qualcuno la invitasse a sedere al tavolo.
Era a suo agio tra noi. Guardandola bene, si intuiva che doveva essere una donna molto triste. L’ovale del volto ed i lineamenti apparivano marcati. La bocca, né grande né piccola, accennava un leggero sorriso.
Quella donna ispirava tristezza e riusciva a calamitare l’attenzione di tutto il gruppo.
Le chiedemmo da quanto tempo vendesse poesie “Da sempre – rispose – non so fare altro nella vita. La poesia mi è fedele, è mia amica”.
Parlava un italiano perfetto. Incuriositi, iniziammo a farle tante domande, volevamo conoscere chi era, dove viveva e così via.
Purtroppo le domande non furono gradite e si chiuse in un silenzioso riserbo.
Vedendola quasi infastidita, cercai di cambiare argomento e le chiesi di leggere qualche poesia, mi rispose, con un tono leggermente arrogante, che lei non leggeva poesie, le vendeva. “Benissimo – dissi – dunque quanto dovremmo pagare per una poesia?. “Quello che volete” – rispose, abbassando gli occhi. Ed iniziò a frugare nel cestino che aveva in grembo.
La donna accarezzava quel cestino in modo tale che sembrava avesse là dentro tutto il suo tesoro.
I miei amici iniziarono a fare una colletta, racimolammo pochi euro e le chiedemmo di venderci una sua poesia.
Il volto della donna all’improvviso si irradiò di luce, rovistò nel cestino e ne estrasse un foglietto di carta celeste, arrotolato a mò di piccola pergamena e chiuso con un nastrino di raso bianco.
Me lo porse con mano tremante e, con mano altrettanto tremante, prese il danaro. Non fece neanche caso alla somma che le avevamo dato, anzi sembrava ansiosa di andar via.
Infatti, si alzò in piedi di scatto e disse che era stata bene con noi, ma che doveva continuare a vendere poesie anche agli altri. E aggiunse: “Se hai una poesia con te, nessuno si può rifiutare di comprarla.” E si dileguò tra i tavoli.
I miei amici mi chiesero di aprire la pergamena e di leggere il contenuto. Purtroppo, però, le parole erano scritte malissimo, con una grafia tremolante ed incomprensibile, riuscimmo solo a leggere: “L’amore è breve come un battito d’ali di farfalla. A volte non arrivi neanche a dire: ti amo”.
Bastarono queste poche parole a scatenare una serie di commenti ed ipotesi, tra cui quella di chi sosteneva che la donna era ridotta in quello stato perché non era mai diventata una vera e propria poetessa, riconosciuta nell’ambiente culturale.
Quando venne il cameriere a presentare il conto ebbi un’improvvisa folgorazione e gli chiesi se conosceva quella donna che era entrata prima nel locale.
“Qui nel quartiere la conoscono tutti, poveretta. Ormai sono anni che è in quello stato: è una donna triste e depressa. Voleva diventare una brava poetessa ma nessuno la considerava tale, anzi, spesso alcune persone la prendevano in giro, fingevano di ascoltarla per poi deriderla, scatenando in lei violente crisi depressive E da allora a quella donna non è rimasto altro che elemosinare, vendendo le sue poesie.”
(Maggio 2016)