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Campionato di calcio di serie A   di Luigi Rezzuti   Dove eravamo rimasti? Alla 27esima giornata di campionato di serie A, quando la pandemia da...
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Una passeggiata nel quartiere Sanità

 

di Luigi Rezzuti

 


Napoli ha tanto da offrire. Ogni volta scopro qualcosa di nuovo, che magari era lì da secoli, ma io non ci avevo mai prestato attenzione.

È stato questo il motivo di una passeggiata nel Rione Sanità, un quartiere per anni additato come pericoloso, malfamato, da evitare assolutamente.

Mi è sempre stato detto: “Tieniti lontano dai quartieri Spagnoli, dalla Sanità e da Forcella”, ma io non sempre l’ho fatto.

E non me ne pento perchè questi quartieri stanno cambiando, si stanno aprendo al turismo, mostrando la loro allegria, la loro arte e la loro storia.

Sono stato fortunato, lo ammetto, ho visitato la Sanità più volte e questa volta, però, è stata un’interessante passeggiata, grazie alla quale ho potuto apprendere molte storie, leggende e aneddoti su questo quartiere.

Visitare un luogo con qualcuno che ne conosce la storia è assolutamente un valore aggiunto ed io l’ho visitato con un amico molto preparato sul piano della storia napoletana.

Questa è la passeggiata, alla quale mi sono dedicato una domenica mattina. Il tragitto non è stato lunghissimo, ma c’era da fermarsi tante volte per guardarsi intorno ed osservare.

Il nome Sanità viene dalla salubrità della zona, un tempo incontaminata, e dal fatto che qui, nelle sue catacombe, si verificavano miracolose guarigioni.

Voce di popolo sostiene che il nome provenga anche dalle frequenti alluvioni, causate dal torrente che scendeva da Capodimonte, purificando il Rione.

Il Rione Sanità parte, infatti,  dal quartiere Stella, si trova a nord del centro storico di Napoli, adiacente la collina di Capodimonte.

La visita al Rione Sanità parte dalla Porta San Gennaro, che si trova su via Foria, di fronte piazza Cavour. Era l’unico punto di accesso, dal lato nord della città, e l’unico che portasse alle catacombe.

A differenza delle altre porte di Napoli, questa non ha i due torrioni laterali, ma è circondata dai palazzi che vi sono stati costruiti intorno.

Attraversando la strada ci si immette in via Vergini, una strada allegra e festosa, ricca di negozietti e bancarelle del mercato, con i commercianti che si mettono in posa non appena vedono comparire una macchina fotografica.

Il mercato è aperto tutti i giorni fino alle 20, la domenica fino all’ora di pranzo.

Passeggiando, non si può fare a meno di notare i colori dei vicoli: artisti ignoti ma anche altri ben conosciuti, lo hanno colorato e fatto oggetto dei loro dipinti.

Subito dopo la pizzeria “Concettina ai 3 Santi”, sulla destra, c’è un bel palazzo a pianta ottagonale e doppia scalinata: è il palazzo Sanfelice, costruito nel 1728, dove sono state girate alcune scene di Gomorra ed altre fiction.

Arrivo a piazza Sanità. Proprio di fronte alla Basilica, “Sants Maria alla Sanità”,  sulla facciata di un edificio, è stato realizzato un grande murales.

La chiesa sorge al centro della piazza ed è stata eretta nel 1600 sulle catacombe di San Gaudioso.

La cosa che mi ha più colpito, che non avevo mai visto nelle altre chiese, è che il presbiterio è rialzato rispetto alla navata, raggiungibile attraverso una bella scalinata di marmo, sotto cui si sviluppa la cripta.

All’interno della Basilica c’è una statua di San Vincenzo, detto “‘O Munacone”, che il quartiere ha eletto come proprio protettore.

Fino al 1978, il 5 luglio, si celebrava la festa della Sanità, “Festa d’ò munacone”, appunto, cui venivano invitati anche cantanti famosi.

Quando poi la camorra si è introdotta, con richieste di pizzo, la festa è stata sospesa.

La Basilica è quindi conosciuta anche come “ ‘a chiesa e San Vincenzo”.


Il Ponte della Sanità sovrasta il rione unendo due strade, Santa Teresa degli Scalzi e Corso Amedeo di Savoia, per collegare la Reggia di Capodimonte alla città. Successivamente nacque l’idea di un ascensore che permette di salire, da Materdei, sulla parte alta della città.

È curioso vedere come alcune case sono state costruite proprio sotto il ponte.

Passeggiando per questi luoghi, mo sono imbattuto nella sagoma di Totò, una delle tante installazioni, dedicate  all’attore, che abbelliscono il suo quartiere natio.

A pochi metri dal Ponte della Sanità ho trovato l’opera che mi è piaciuta di più in questa passeggiata  “Speranza nascosta” con il volto di un senzatetto rimasto in negativo sul muro.

Cammino tra graffiti, bassi e panni stesi ad asciugare. I bassi sono quelle case al piano terra degli edifici, la cui unica apertura è fonte di luce. Un tempo erano sgabuzzini o botteghe di artigiani.

Sono arrivato su via Fontanelle, che prende il nome dalle sorgenti e fonti d’acqua che caratterizzavano, un tempo, questa zona.


Arrivo, quindi, al Cimitero delle Fontanelle, uno dei luoghi più suggestivi del Rione Sanità e di tutta Napoli.

Impregnato di storia, fede, riti e leggende, il cimitero delle Fontanelle è un antico ossario, scavato nella roccia di tufo della collina di Materdei.

Inizialmente era destinato a seppellire i corpi che non trovavano posto nelle chiese, poi, le vittime della grande peste del 1656 e del colera del 1836.

Il cimitero, ad oggi, accoglie circa 40,000 resti ed è anche famoso perché vi si è svolto, per tanti anni, un particolare rito detto delle “anime pezzentelle”.

Il rito prevedeva l’adozione, in cambio di una grazia, di un cranio anonimo (a capuzzella) al quale corrispondeva un’anima abbandonata (detta perciò “pezzentella”.

I fedeli sostenevano che l’identità delle anime, con il loro nome e la loro storia, veniva svelata loro in sogno.

I teschi delle anime avevano bisogno di cura ed attenzione e, per questo, i fedeli pulivano e lucidavano il cranio prescelto, lo adornavano con fazzoletti ricamati, cuscini e rosari. Se la grazia veniva concessa, il teschio veniva riposto in una scatola o in una teca protettiva, sulla quale veniva scritto “per grazia ricevuta” Il nome del fedele, altrimenti, veniva abbandonato e sostituito con un altro. La maggior parte dei teschi sono anonimi, ma ce ne sono anche alcuni diventati famosi e sui quali si narrano misteriose leggende. Uno di questi appartiene a donna Concetta, conosciuta come  “A capa che suda”.

Il cranio di donna Concetta è posto in una  teca di vetro in una cavità che raccoglie meglio l’umidità, per questo sembra sudare, secondo i fedeli, a causa delle fatiche e sofferenze a cui è sottoposta nell’aldilà.

Poco dopo, in un’altra cavità scarsamente illuminata, l’inquietante statua decapitata del Monacone San Vincenzo Ferreri, vestito con il tipico abito domenicano bianco e nero.
Alla destra delle tre croci ho trovato un altro teschio ricoperto di fiori, monetine e candele, è quello del Capitano, sul quale si raccontano due versioni della stessa leggenda.

Pare che un giovane sposo avesse suscitato l’ira dell’anima del Capitano prendendosi gioco di lui, dicendogli di non aver paura di un morto ed invitandolo ironicamente al suo matrimonio.

Fatto sta che il Capitano al matrimonio ci andò davvero, travestito da un personaggio in abito scuro, silenzioso e severe, Questi, rivelando la sua vera identità, fece morire di paura la giovane coppia di sposi.

Sono uscito dal cimitero delle Fontanelle alle 13,30, giusto in orario di pranzo.

Sono quindi tornato indietro per fermarmi alla pizzeria ai Tre Santi. La folla che aspettava di entrare era numerosa, ma io, per fortuna, avevo lasciato il mio nome tre ore prima e sono riuscito ad avere un tavolo, aspettando solo una ventina di minuti.

Quando poi ho mangiato quella pizza ho realizzato che sarebbe valsa la pena aspettare anche un’ora.

Ho preso una classica margherita, soffice, leggera e buonissima ed ho assaggiato una fetta di dolce.

Uscito dalla pizzeria, sazio e soddisfatto, ho imboccato il vicolo che si apre proprio di fronte via Santa Maria Antesecula.

È qui che si trova la casa in cui, nel febbraio del 1989, è nato il Principe Antonio De Curtis, in arte Totò.

La casa è contraddistinta da un bellissimo ritratto sui muri esterni.

Tornando verso l’inizio del Rione ho visitato l’ultimo palazzo denominato “dello Spagnolo” perché appartenuto ad una nobile famiglia spagnola nel XIX secolo, anche questo molto simile al palazzo Sanfelice, ma tenuto meglio.

La mia bella passeggiata nel quartiere della Sanità è terminata.

Sono stato contento nel vedere gruppi di turisti, soli o accompagnati da guide, visitare il Rione Sanità, fotografarlo ed ascoltando talune storie, narrate dalle guide, mi sono sentito orgoglioso di essere napoletano.

(Aprile 2021)

VACCINARE I MAGISTRATI

 

di Sergio Zazzera

 

Potrebbe sembrare l’ottava opera di misericordia, e forse lo è. I magistrati – e, in maniera particolare, quelli napoletani – hanno fatto sentire la loro voce, attraverso gli organismi associativi locali, chiedendo di essere sottoposti a vaccinazione anti-SarsCov2 al più presto.

Premesso – e senza offesa per nessuno – che il convergere sul Governo delle richieste di numerose categorie professionali (tutte?) sta finendo per assumere la fisionomia di una guerra tra poveri, devo dire, però, che soltanto chi non ha mai messo piede in un’aula di Giustizia – soprattutto, ma non soltanto, civile – può stigmatizzare in maniera negativa una richiesta siffatta; ma mi spiego.

Anzi, per spiegarmi meglio, comincio con un episodio personale. Sono stato giudice dell’esecuzione civile per diciassette anni e, una volta, un mio parente mi telefonò a casa, dicendomi di essersi trovato per motivi suoi nella Pretura di Napoli e di essere passato per il mio ufficio, per salutarmi. «Ma non ti ho visto», concluse. Gli spiegai che, se fosse riuscito a farsi largo tra il nugolo di avvocati (una cinquantina, all’incirca) che affollava la mia aula, avrebbe avuto discrete probabilità di vedermi (ma non di più di tanto).

Questo, per dare un’idea delle condizioni nelle quali si svolgono – e non soltanto a Napoli – le udienze civili, benché quelle penali non siano messe, poi, tanto meglio. Ora, se si considera l’elevato rischio di diffusione del contagio in ambienti particolarmente affollati, che non è detto – come i media ci hanno consentito di apprendere – che le mascherine riducano fino a un massimo del 2 o 3%, non credo che ci sia da strapparsi le vesti se i magistrati – ma anche gli avvocati e tutti gli altri frequentatori più o meno abituali delle aule di Giustizia – invochino che sia loro praticata la vaccinazione. Altrimenti, sarebbe più che giustificato che fossero essi a strapparsi di dosso le toghe.

(Marzo 2021)

HADDA  FERNI’  STA  PANDEMIA

 

di Luigi Rezzuti

 

Appena potrò, metterò le scarpe più comode che ho e farò tanti di quei chilometri a piedi che conoscerò di nuovo Napoli.

Salirò la collina di Posillipo, passando per Trentaremi, poi andrò a fare un saluto alla tomba di Virgilio, a quella di Leopardi e alla Crypta Neapolitana.

Quindi entrerò a palazzo donn’Anna, non dall’ingresso principale, bensì passando dalla casa di una signora, che ha l’accesso diretto a mare. Prima, però, lei mi farà la solita bella “tazzulella” ’e café.

Intanto mi sarà venuta fame sicuramente: è mezzogiorno e trenta e mangerò una pizza margherita.

Poi continuerò, sempre a piedi, dal circolo Posillipo al porto di Napoli.

Entro un secondo al Maschio Angioino e poi vado al San Carlo.

Degusto un bel babà in galleria e subito un altro caffè e ne lascio più di uno in sospeso, perché nessuno a Napoli dovrà rimanere con la voglia di una tazzina di caffè.

Mi perderò, con la testa rivolta verso l’alto, per tutti i  “vicarielli” di Napoli e farò il giro delle 7 chiese, passando per Santa Chiara.

Dopodiché vado a trovare Totò alla Sanità e cammino fino a Capodimonte!

Se faccio in tempo passo per il cimitero delle fontanelle, poi prendo la metro e la funicolare e me ne vado alla Certosa perché devo vedere Napoli che si colora al calar del sole, mentre piango di gioia per aver riacquistato la mia libertà.

Il giorno dopo me ne vado a Pozzuoli, a Baia, a Cuma, a Monte di Procida e aspetto che il cielo si faccia nuovamente arancione al calar del sole sulla terra più bella  che abbia mai conosciuto.

Io resto a casa per il momento….

(Marzo 2021)

Il mandato

 

di Alfredo Imperatore

 

Che cosa è un mandato? Un contratto con cui una persona (mandatario) si obbliga a compiere una o più attività di pubblico interesse per conto di un’altra (mandante).

L’articolo 67 della Costituzione italiana recita: <Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato>.

Tale articolo mira a garantire la libertà di espressione e non l’inquadramento in un Mandato imperativo, che può mutare di volta in volta, sulla base dell’evolversi dei vari eventi.

Meno che mai questo articolo fu scritto dai nostri “Padri costituendi” (e tra essi mi piace ricordare Enrico De Nicola, Alcide De Gasperi, Benedetto Croce e Piero Calamandrei), affinché facesse da copertura e giustificazione a quei parlamentati che effettuano il “salto della quaglia”, da un partito ove sono stati eletti a un altro, persino di idee contrarie!

Qual era l’intendimento degli Autori di quell’articolo?

A mio modesto avviso, per rispondere a questa domanda, per prima cosa si deve dare alla parola mandato un “significato più restrittivo”.

Lo scopo era di non vincolare un parlamentare a “tutte” le proposte di legge del partito di appartenenza. In poche parole, se il direttivo del proprio partito fa una proposta politica che un singolo parlamentare non condivide, questi non è “vincolato” a votarla, ma può astenersi o, addirittura, votare contro.

Abiurare il proprio partito, tramite il quale si è stati eletti, e trasferirsi in un altro gruppo parlamentare, magari con un programma opposto a quello del precedente partito, è un tradimento che si effettua principalmente verso il proprio elettorato.

Questo tradimento non può avvenire in alcun modo nel nome e nel rispetto dell’art. 67, che “svincola” il parlamentare solo ed esclusivamente da singole proposte di legge da qualunque parte esse provengano e null’altro.

 

                                                                      ***

L’origine di questa controversa parola è lat. mandatu(m)= affidare, di provenienza indoeuropea. Il lat. mando, as, avi, atum, mandare= affidare, deriva da “man(um) dare equivalente alla locuzione “mettere nelle mani”. 

(Marzo 2021)

GLI  SCAVI  DI  POMPEI

 

di Luigi Rezzuti


La storia degli scavi archeologici di Pompei è iniziata nel 1748 per protrarsi fino ai giorni nostri.

Questa colossale opera archeologica ha permesso di riportare alla luce l’antica città di Pompei, seppellita dall’eruzione del Vesuvio, del ’79.

L’anfiteatro è stato uno dei primi edifici ad essere ritrovato.

Pompei è una sorpresa per qualunque visitatore: strade strette. casette, templi, ville, simili più a modellini e a case di bambole che  a vere case, ma tutto è dipinto nei più vivaci colori.

Arabeschi con figure di bimbi, di ninfe e, in altri punti, di animali domestici.

Nel 2020 nuovi cantieri stanno portando alla luce altri reperti come quelli di due vittime della grande eruzione: un uomo avvolto in un mantello e il suo giovane schiavo.

E’ stato possibile individuare la presenza di resti umani in quanto, sotto gli strati che li coprivano, si sentivano dei vuoti.

Una scoperta importante anche perché è stato possibile realizzare dei calchi di gesso con una tecnica, inventata più di 150 anni fa.

L’ultima volta lo si era provato a fare negli anni novanta, ma il tentativo era fallito.


Una nuova scoperta eccezionale è rappresentata dal ritrovamento, nella Regio V, di un antico Termopolio intatto: è riaffiorato un bancone da ristoro, adibito alla distribuzione di cibo e bevande, calde e fredde, a mezza strada fra una bottega alimentare ed un bar odierno, che fa pensare ad un’attività di street food, con pietanze di vario tipo, all’epoca molto in voga.,

Sul bancone, sono riaffiorate nuove decorazioni di nature morte, accanto a rinvenimenti di resti alimentari, ossa di animali e di vittime dell’eruzione del vulcano.

Davanti al Termopolio, nella  piazzetta antistante, erano già state rinvenute una cisterna, una fontana e una torre piezometrica, per la distribuzione dell’acqua, collocate a poca distanza dalla bottega.

Le decorazioni del bancone presentano sul fronte anche l’immagine di una Nereide a cavallo in un ambiente marino.

Nella fase di scavo, sull’ultimo braccio del bancone, sono tornate alla luce ulteriori scene di nature morte con rappresentazioni di animali.

Inoltre, nel Termopolio è stato rinvenuto vario materiale da dispensa e da asporto: nove anfore, una paténa di bronzo, due fiasche, un’oliera di ceramica .

I resti sono stati trovati all’interno della villa suburbana di Civita Giuliana, una tenuta nobiliare affacciata sul mare dove, nel 2018, erano stati trovati i resti di tre cavalli, uno dei quali bardato con una sella di legno e bronzo: per questo ora la villa è nota come “Villa del sauro bardato”.

Tutti questi rinvenimenti dimostrano come, all’epoca, il popolo di Pompei era all’avanguardia, un popolo moderno, dove già esistevano botteghe alimentari, gli odierni ristoranti, con l’attuale usanza del cibo da asporto. Un vasto ed interessante materiale che offrirà molti spunti agli studiosi di varie discipline, come antropologia, archeologia, geologia, vulcanologia, chimica, fisica etc. I materiali rinvenuti nei dolia (contenitori in terracotta) del bancone, analizzati nei laboratori, forniranno dati di grande interesse per indagare sugli usi e sui  costumi, anche alimentari, del tempo.

(Febbraio 2021)

SANTO SUBITO!

 

di Sergio Zazzera

 

La vigente normativa della Chiesa in materia di canonizzazione prevede un procedimento particolarmente complesso, che richiede, per lo più – e salvo eccezioni comprensibili, benché non proprio giustificabili (si vedano gli ultimi tre pontefici proclamati santi) –, tempi …biblici. Viceversa, nei primi tempi del Cristianesimo, quando la canonizzazione avveniva a furor di popolo, era sufficiente che da quest’ultimo si levasse il grido: «Santo subito!», perché qualcuno divenisse tale.


Ebbene, su questa antica modalità sembra essersi plasmata la recente esaltazione del fenomeno Maradona: fiori, palloncini e gadget davanti allo stadio, il giorno stesso della sua morte; intitolazione  dello stadio medesimo a lui – novello santo laico –, cancellandovi la memoria di Paolo di Tarso – lui, sì, santo a tutto tondo –, pochi giorni dopo; ipotesi, quasi contemporanea, di ribattezzare col suo nome il piazzale dello stadio – dopo che quella d’intitolarlo all’Apostolo delle genti fu ritenuta, a suo tempo, inammissibile –. E ora si progetta la realizzazione di un vero e proprio monumento, da collocare su quel piazzale, con corollario d’interventi di polizia attuati nel timore d’insurrezioni terroristico-popolari, qualora l’operazione dovesse essere (Dio ne scampi, per carità) accantonata: pare, addirittura, che qualcuno volesse prendersela con Giuseppe Garibaldi (almeno in questo caso, innocente), abbattendo la sua statua nell’omonima piazza e sostituendola con quella del mitico “numero 10”.

Allora, la domanda che “sorge spontanea” (mi perdoni il mio amico Antonio Lubrano, se prendo in prestito il suo motto) è questa: ma vuoi fare che per Napoli, dopo Nicola Amore – che credo sia stato l’ultimo, in ordine di tempo, a vedersi dedicare una statua (a parte il brutto Totò del Rione Alto e l’altrettanto brutta Madre Teresa di via Tasso) –, non è passato più nessuno meritevole di memoria marmorea o bronzea, né prima, né dopo del Pibe de oro? A immaginare soltanto tutto ciò che sta accadendo dopo la sua morte, ogni volta che mi è occorso di nominarlo avrei aggiunto, alla napoletana, “ca pòzza campà’ ciént’anne”.

(Febbraio 2021)

BRADISISMO A POZZUOLI

 

di Luigi Rezzuti

 


L’area dei Campi Flegrei è caratterizzata dal fenomeno del bradisismo, legato all’attività vulcanica. In particolar modo ne è colpito il comune di Pozzuoli.

Il bradisismo consiste in una variazione del livello del suolo che talvolta può essere negativa, e quindi comportare un  abbassamento, talvolta, invece, positiva, con conseguente innalzamento della costa e degli edifici. Nella zona del Porto di Pozzuoli il suolo si è innalzato a partire dagli anni ’80 e, tra il 1982 e il 1984, il bradisismo a Pozzuoli ha determinato un considerevole sollevamento del suolo (di circa due metri).

La prima scossa raggiunse i 4,2 gradi della scala Mercalli, ma durante l’intero periodo nessun dato ha mai evidenziato un movimento nella camera magmatica tale da far pensare ad una eruzione imminente.

Molti edifici, sia a Pozzuoli che nei dintorni, furono danneggiati dalle continue sollecitazioni sismiche ed anche il manto stradale subì delle spaccature.

In questo periodo una parte della popolazione di Pozzuoli venne evacuata per il rischio di crolli.

Fu identificata la zona di Monteruscello come più sicura e adatta ad accogliere gli sfollati.

La crisi bradisismica si concluse alla fine del 1984, quando iniziò una fase lenta di bradisismo discendente, che permise una riqualificazione urbanistica con la  ristrutturazione degli edifici danneggiati ed il ripopolamento di quelle aree ove c’era stato l’esodo forzato.

Oggi,  ad alimentare le preoccupazioni dei Puteolani, già alle prese con il Covid e le sue nefaste conseguenze a tutti i livelli, ci si mette anche il bradisismo.

Come apprendiamo, infatti, dall’ultimo bollettino ufficiale dell’Osservatorio Vesuviano, a partire da settembre, il sollevamento del suolo a Pozzuoli è del  valore  medio di 1 centimetro al mese.

Per fortuna non ci sono segnali di allarme da parte degli scienziati, che considerano nella norma l’andamento del fenomeno ed anche i parametri geochimici delle fumarole sono costantemente monitorati.

L’unica. e non trascurabile fonte di inquietudine, resta il timore delle scosse che,  come è noto, accompagnano il bradisismo, con sempre maggiore forza e frequenza quando aumenta la velocità di sollevamento.

Se la vulcanologia non mente, con la situazione attuale, purtroppo, dobbiamo aspettarcene altre, anche della stessa potenza.

E’ giusto esserne consapevoli, così come è altrettanto giusto sapere che le scosse,  che accompagnano il bradisismo, per quanto forti possano essere e per quanto spavento possano creare, non hanno di per sé molta forza distruttiva, stando a quanto qualche persona beu informata sostiene. Su questo, però, noi non siamo in grado di fare pronostici, non essendo materia di nostra specifica competenza. C’è da augurarsi soltanto che non avvengano mai più di notte, quando tutte le paure si amplificano a dismisura.

Un’altra scossa è stata registrata all’alba del 20 dicembre 2020, con epicentro sempre a Pozzuoli e  di magnitudo 2,7.

Anche in questo caso è stata avvertita dalla popolazione residente a Pozzuoli, a Napoli e nei paesi limitrofi.

Non si sono registrati danni a cose né a persone, ma è stata forte la paura, visto che la scossa è stata avvertita nitidamente nell’area della Solfatara.

L’evento è stato preceduto da uno sciame sismico di circa 20 scosse, verificatesi nell’area dell’Accademia Aeronautica e della Solfatara ed accompagnate da un boato, avvertito dagli abitanti dell’area, prossima all’epicentro.

Il Dipartimento Nazionale di Protezione ha elevato il livello di allerta vulcanica dei Campi Flegrei da verde a gialla.

L’innalzamento del livello di allerta ha comportato il rafforzamento del monitoraggio scientifico e delle attività di pianificazione e prevenzione.

(Gennaio 2021)

Come sara’ il Natale 2020?

 

di Luigi Rezzuti

 


Le nuove strette del Dpcm, dovute all’aumento dei casi di Covid 19, fanno pensare che il Natale 2020 sarà una festa assai triste. Infatti molti si chiedono come potrebbe essere una delle feste più amate dagli Italiani in piena pandemia?

Bisognerà rinunciare alle grandi tavolate in famiglia e allo scambio di regali, come si è sempre fatto.

Sarà un Natale amaro. Il coronavirus, in queste settimane, continua a fare “strage di eventi” e fermerà anche i tradizionali mercatini natalizi in città.

Le bancarelle, che di solito, a partire dall’8 dicembre e per tutta la durata delle festività, animavano la città, quest’anno non ci saranno, salvo, a quanto pare, l’albero di Natale in piazza. Lo scenario, dunque, nell’attuale condizione di emergenza sanitaria, è davvero desolante.

Non è pensabile immaginare, adesso, la situazione che vivremo a Natale.

Magari, e speriamo di no, saremo in lockdown completo.

Di certo, dovremo evitare, sia a Natale che a Capodanno, di incontrare gli amici e i parenti non conviventi.

Inoltre, come si è appena detto, ci sarà anche lo stop ai mercatini di Natale. Per l’effetto Covid, verrà annullata, o quanto meno ridimensionata, una delle tradizioni più amate.

Tra il 28 novembre e il 6 gennaio, causa pandemia, saltano i mercatini di Natale in tutta Italia.

Il primo mercatino risale al 1990. Importando una tradizione dei paesi nordici, il successo si rivelò tale da trasformare le bancarelle natalizie in un vero e proprio business.

Purtroppo questo stop sarà una “mazzata” per artigiani, ristoratori e commercianti e proprio per questo molti di loro sui social hanno annunciato che questa stretta significherà la chiusura definitiva di attività, tramandate, in alcuni casi, anche da secoli.

Non c’è dubbio: la pandemia da Covid - 19 ha fortemente impattato tutti i settori economici, nessuno escluso.

Come ogni anno, e ancor più rilevanti per questo 2020, le vendite si effettueranno sui canali digitali.

Molte aziende, infatti, per far fronte alla particolare situazione, saranno costrette a continuare l’attività tramite le vendite on line, ma, ovviamente, anche queste, nonostante le festività, saranno complessivamente inferiori a quelle registratesi negli anni precedenti al Covid.

I maestri presepiali della famosa via San Gregorio Armeno sono preoccupati e hanno presentato un progetto per rendere possibile il Natale 2020, ma sembra che sarà molto difficile attuarlo.

Negli occhi restano le immagini del fiume di napoletani, italiani e turisti da tutto il mondo, che ogni anno, da novembre a gennaio, percorre San Gregorio Armeno.

(Dicembre 2020)

E’ arrivato l’autunno

 

di Luigi Rezzuti

 

L’autunno è la stagione che ci accompagna verso l’inverno.

Ufficialmente inizia con l’Equinozio d’Autunno il 23 settembre. Quest’anno ha un po’ tardato. Infatti è arrivato solo verso la fine di settembre portando con sè pioggia e freddo.

Dopo mesi di sole, mare e sabbia tra i capelli, l’arrivo dell’autunno segna per molti la fine dei sandali, della minigonna e delle giornate in spiaggia.

La stagione delle foglie al suolo, però, non deve essere motivo di tristezza in quanto, dopo mesi passati a mangiare insalate, ghiaccioli, gelati, granite, pasta fredda e prosciutto con il melone, possiamo tornare ai cibi ipercalorici.

Ricominciamo ad utilizzare il forno, ci prepariamo per le cene a base di zuppe.

Ora che il freddo torna a farci visita, non possiamo rinunciare a un thè caldo con qualche biscotto e un amaro, la sera.

Diciamo, purtroppo, addio all’odore di salsedine e crema solare, ma facciamoci consolare dall’autunno che presenta una serie di profumi, accoglienti e caldi, sorprendenti, come quello della legna, bruciata nel camino, l’effluvio delle caldarroste, che penetra nelle narici, la fragranza del muschio, l’aroma della terra bagnata e, soprattutto, l’inconfondibile odore di foglie che cominciano a decomporsi.

Ogni stagione ha i suoi colori predominanti e quelli dell’autunno sono bellissimi.

Le foglie degli alberi sono pigmenti di un quadro a toni caldi, dove il giallo, arancione e il rosso si sposano perfettamente con il marrone e il grigio dei tronchi degli alberi.

I tramonti più intensi e la tonalità plumbea del cielo sono la cornice perfetta per l’opera d’arte autunnale.

Se abitate in città, concedetevi un weekend per evadere e andate a godere delle tinte e delle sfumature di questi mesi di ottobre e novembre.

Smettiamo di odiare il vicino di ombrellone con la tartaruga scolpita sull’addome, ci teniamo il nostro airbag nella pancia.

Finalmente possiamo smettere di farci una doccia ogni 20 minuti per il terrore dell’odore sgradevole, a causa delle troppe sudate.

L’autunno è il fischio d’inizio del nuovo anno. Gli inizi sono quasi sempre piacevoli.

Certo, bisogna fare i conti con la sveglia, alzarsi presto al mattino per andare al lavoro, ma ci si ritrova con gli amici e con i colleghi, magari perchè in giro per le vacanze.

La sera ci adagiamo sul divano e riprendiamo il frenetico movimento delle dita per decidere da quale programma, film o serie televisiva ci faremo accompagnare verso l’ora della buona notte.

Fuori piove e tira vento, ma godiamo nel sapere di essere al caldo, davanti al nostro programma preferito.

Alterniamo le serate con gli amici, giocando al Monopoli, Risiko o al Mercante in Fiera, sgranocchiando qualcosa, oppure c’è la serata con il libro sotto le coperte: intramontabile.

Potete essere la persona più gelida e cinica di questo mondo, ma non potete non riconoscere quanto sia piacevole riscaldarsi, abbracciati al proprio partner, sotto il piumone, o con un buon calice di vino, davanti a un fuocherello.

Siamo in casa, ma senza annoiarci: beviamo cioccolata calda mentre fuori piove e stiamo insieme a un nostro amico o amica, giochiamo, sereni, con i nostri figli o riposiamo con il gatto sulla pancia.

Le coccole sono la cura ideale per scacciare il primo freddo, che penetra nelle ossa.

(Ottobre 2020)

Per la dipartita di Marta Rezzuti

 

di Marisa Pumpo Pica

 

È venuta a mancare all'affetto dei suoi cari Marta Rezzuti, sorella di Luigi, direttore editoriale del nostro giornale.

Donna di esemplari virtù, sempre dedita alle cure amorose dei figli e del marito, il compianto poeta umbro, ma napoletano di adozione, Alberto Mario Moriconi, lascia un vuoto incolmabile nel cuore di quanti l'hanno conosciuta ed amata. Spesso presenza silenziosa e solerte accanto al marito, ha preso parte anche agli incontri del Centro culturale Cosmopolis, di cui Moriconi era socio onorario.

Dopo la morte del marito, avvenuta dieci anni or sono, si era chiusa in un suo mondo di dolore e di ricordi.  Oggi la sua anima è volata in cielo per ricongiungersi a quella dell'amato sposo, compagno di una vita. 

Al fratello Luigi Rezzuti, ai figli e ai familiari tutti l'accorato cordoglio, mio personale e dell'intera redazione de "Il Vomerese". Con un fraterno abbraccio.

(Luglio 2020)

INDRO MONTANELLI, TRA “MONUMENTI” E “FACCETTE NERE”

 

di Sergio Zazzera

 

Premetto che con Indro Montanelli ho avuto, da una cinquantina d’anni a questa parte, una questioncina in sospeso, per un attacco gratuito che mi rivolse sul suo giornale (e uso volutamente l’iniziale minuscola), quando, in quella mia precedente esistenza, esercitavo le funzioni di pretore a Milano; aggiungo subito, però, che scriverei queste stesse cose, anche se quell’episodio non fosse accaduto. Ma vengo al tema.

La furia iconoclasta che si è scatenata, in questi ultimissimi tempi, un po’ dappertutto nel mondo, ha determinato, fra l’altro, l’imbrattamento e la richiesta di rimozione della statua che i milanesi gli dedicarono, nel 2006, nei giardini a lui stesso intitolati.

In proposito, manifesto immediatamente la mia contrarietà a un tal genere, sia di atti, che di richieste. È vero, Montanelli, da giovane, prese in moglie una bambina dodicenne in Etiopia, nel 1936, quando era militare in quella colonia italiana, e alle critiche che gli sono state ripetutamente mosse ha sempre risposto che, in fondo, presso le popolazioni africane quello era un comportamento normale; e, ancora oggi, molti dei suoi estimatori hanno ripetuto e ripetono quella giustificazione. Dunque, qualora gli fosse accaduto di essere invitato a pranzo da una tribù di cannibali, Montanelli non avrebbe esitato a cibarsi di un proprio simile, perché anche quello è un comportamento normale presso quelle genti. E mi piacerebbe sapere che cosa avrebbero pensato di me Montanelli stesso e quei suoi estimatori, qualora (periodo ipotetico di terzo tipo) fossi stato io a prendere per moglie una bambina, anche se africana.

Viceversa, credo che ciascuno di noi debba applicare alle proprie condotte (e a quelle altrui) i criteri di valutazione tipici della collettività umana di rispettiva appartenenza, ovvero, un italiano(/europeo) non dovrebbe nutrirsi di carne umana, né congiungersi con una bambina; comportamento, quest’ultimo, che dalle parti nostre mi sembra che sia definito con l’appellativo di “pedofilia”.

Tuttavia, come ritengo giusto che sulla facciata del Palazzo delle Poste, in piazza Matteotti, figurino ancora i fasci littori, a perpetua memoria della tragedia che afflisse l’Italia per un ventennio, così considero parimenti giusto che la statua di Montanelli continui a stare dove si trova, soprattutto dopo che anche chi non conosceva l’episodio che ha scatenato la furia iconoclasta, ora lo conosce e così può avere di fronte a sé l’immagine di colui al quale esso dev’essere ricondotto. Semmai, sarebbe stato più coerente con il sentire comune evitare proprio la collocazione di quel monumento; ma questo è tutt’altro discorso.

(Luglio 2020)

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