IL FESTIVAL DI SANREMO
di Mariacarla Rubinacci
Ne parlano tutti, in qualsiasi canale della televisione si clicchi, si ascolta qualcuno che …bla-bla- bla, parla del Festival della Canzone Italiana, del carrozzone popolare che impegna l’audience nazionale. Ne parla, lo commenta, lo analizza opinando, lo spia per scoprirne dettagli, e poi ...lo snobba. Lo fa schernendosi, come se si vergognasse di seguirlo. Magari invece lo fa, lo segue, eccome!, altrimenti come farebbe a trovarne i difetti e l’inutilità? Lo spia nascosto dietro l’angolo del suo salotto di casa, dove la famiglia, al contrario, è scompostamente spaparanzata sul divano a godersi, incollata allo schermo del televisore panoramico, lo sfavillio delle luci del palcoscenico dove note su note si alternano nella competizione della gara “nazional popolare”.
Il festival è un bel pacchetto regalo, da scartare lentamente fino a che non superi la mezzanotte, ogni anno è lì a farsi aprire e scoprire cosa stia per offrire. E’ un regalo pieno di fantasia, di fragilità, di timidezza, di energia, di parole, di messaggi, di senso sociale, di quotidianità, che però non fanno più rima con “amore e cuore”, ma offrono sfide all’analisi mentale di chi ascolta e si ritrova nei concetti musicalmente espressi. Oggi il festival è una vetrina sull’oggi tormentato, soprattutto vissuto dai giovani, è il parlato che usano quando si incontrano, magari sorseggiando uno spritz.
Allora il loro non è più un becero bla-bla-bla, le parole sono invece cariche di significato e di fatica di crescere, di speranza che qualcosa cambi, quel qualcosa di brutto che li circonda, fatto di guerre, il brutto del bullismo, il brutto del razzismo, il brutto di ribellione violenta, il brutto di non saper amare, il brutto che la Natura stessa butta loro addosso, con i cambiamenti climatici, le pandemie, i terremoti, il brutto della povertà. E’ la loro vetrina che andrebbe commentata solo attraverso il loro punto di vista, è un giornale da sfogliare per vedere documentata la loro realtà. Al contrario, spesso il parlottare che si legge negli editoriali, che si ascolta nei talk show televisivi è l’espressione di chi ha qualche capello bianco e che ha dimenticato quanto sia cambiata la Storia, quanto fosse stato più facile crescere anche solo qualche decennio passato.
Beh, anch’io ho quel capello che si sta tingendo di bianco, per cui ho fatto il mio bla-bla-bla, ho espresso la mia opinione, ho partecipato al salotto di chi sta leggendo, ma ...chiudo dicendo “W Sanremo”.
(Febbraio 2023)
Spigolature
di Luciano Scateni
Sanremo, evviva (pardon è un lapsus) ci siamo.
L’Habemus Papam ha riscontri mediatici, pari e forse leggermente inferiori, all’enfasi mediatica che, per un turno di Tg Rai e news on line di varia provenienza, ha celebrato l’habemus Sanremo, con titoli e ampi dettagli che hanno quasi oscurato l’orgiastico racconto quotidiano di fatti e misfatti, relativi al virus pandemico nella ‘variante omicron’. Insomma ci siamo. Squarciato il fitto velo di silenzio, Amadeus ha soddisfatto la sete universale di festivalismo e ha messo fine alla fibrillazione dei cuori pulsanti di chi freme per conoscere il futuro prossimo della kermesse canora, gardenia all’occhiello della Tv di Stato. Il direttore artistico e presentatore non si è risparmiato (vuoi vedere che non lo facesse con quello che guadagna?) e il risultato del meticoloso lavoro di un anno è un esempio di accurato dosaggio, di un menù che prova a rispettare la molteplicità di gusti musicali dell’Italia: alla fascia d’età di telespettatori ‘capelli bianchi’ Sanremo propone Iva Zanicchi, che ha felicemente festeggiato il compleanno numero 81, Massimo Ranieri, appena (!) settantenne e Gianni Morandi, di anni 76. Sorprende la non presenza dell’onnipresente Orietta Berti, di due anni più senior, con le sue 78 primavere. C’è Donatella Rettore, una giovanetta di 66 anni. Sistemati i fan dello show ‘The senior Voice’, che va riesumando le voci canore dimenticate di over 60, Sanremo copre l’intera gamma di gusti musicali. In gara c’è Achille Lauro, in rappresentanza del genere Maneskin, che hanno ben altro a cui dedicare il tempo di band sulla cresta dell’onda. Per i musicofili che identificano la modernità della musica leggera nel ‘rap’ la proposta di Amadeus è ricca, anzi straricca. Rapper (in parentesi l’età) sono Rkomi (27), Irama (25), Aka 7even (22), Dargen D’Amico (40), HighSnob e Hu (27). Il cast delle 5 serate si completa con il cantautore Miche Bravi (27), il napoletano Giovanni Truppi, rock, jazz (40), DitonellaPiaga, (24) in coppia con la Rettore, la spagnola Ana Mena (24), Sangiovanni (18) il più giovane in competizione, La rappresentante di Lista, gruppo ‘Trip, hop, folk’ siciliano. Sulla scia dei Maneskin anche il gruppo ‘rock alternativo’ Le vibrazioni. La fetta più grande della torta canora è preda dei rapper. Il festival strizza così l’occhio ai giovani, al genere musicale che si propone come alternativo alla canzone melodica. Spesso la velocità del ritmo di questi interpreti ostacola la comprensione del testo, ma che fa, quello che conta è che la rapida successione di parole entusiasmi i ragazzi. Sul palco dell’Ariston anche due giovani talenti. Gradimento scontato per Elisa, Emma Marrone. Giusi Ferreri, Fabrizio Moro, Mahmood & Blanco, Noemi.
I costi: Amadeus 500/600mila euro. Da verificare le indiscrezioni sui probabili co-conduttori delle 5 serate (Alessia Marcuzzi, Chiara Ferragni, il velocista Jacobs, oro olimpico). Certa la presenza di Fiorello e di Ibrahimovic (50 mila a serata). Achille Lauro ospite per tutte e cinque le serate (costo idem). Elodie: una serata, abiti di Versace. Per gli altri ospiti compensi da fissare di volta in volta (intorno ai 25 mila). I biglietti per i 1900 posti: abbonamento Galleria (5 serate, 672 euro), Platea (5 serate 1.290), una serata in Galleria 100 euro, una in platea 180. Serata finale, Galleria-Platea 320 / 660 euro. Dagli sponsor la Rai ricava una quarantina di milioni.
Rai, ‘cambiare qualcosa per non cambiare niente’
Monica Maggio, alla direzione del Tg1: politicamente un ‘copia-incolla del precedente, con presenze prevalenti della destra. Tg2, confermato Sangiuliano, che uno più di destra è davvero arduo trovarlo. Simona Sala al Tg3, vedremo come se la cava. Vianello, direzione Giornale Radio e Radio 1. Orfeo direzione di ‘Approfondimento’, Casarin (Lega) confermato alla guida della Tgr. Il capolavoro del nuovo amministratore delegato (aveva detto “fuori i partiti dalla Rai”) è però la nomina di Paolo Petrecca direttore di Rai News 24. Chi è Petrecca? Nel 2016 condivideva sul profilo Facebook (pubblico) il link a un gruppo dal nome “Vogliamo Silvio Berlusconi presidente della Repubblica”. Un mese fa ha twittato con la Meloni che ha pubblicato ‘Avanti ragazzi di Buda’ e le fa i complimenti per la sua presenza a ‘Mezz'ora in più’. Dice: “Intervista senza peli sulla lingua e ricca di contributi”. Pensate che Fuortes, numero uno della Rai, così sputtanato, si sia immediatamente dimesso? Errore, se ne sta lì, beato, in viale Mazzini.
(Dicembre 2021)
MONICA VITTI COMPIE 90 ANNI
dI Luigi Rezzuti
Maria Luisa Cecinella, in arte Monica Vitti, l’attrice, che è un mito del cinema nazionale ed internazionale, ha compiuto 90 anni.
È nata il 3 novembre del 1931.
Sposata con lo sceneggiatore, fotografo cinematografico e regista, Roberto Russo, che si prende, tuttora, cura di lei, soffre di una malattia degenerativa, simile all’Alzheimer. che gradualmente le ha strappato i ricordi
Per i suoi 90 anni, ci saranno eventi e manifestazioni in tutta Italia con proiezioni di film, tra cui uno dei più noti, come “Dramma della gelosia” con Marcello Mastroianni, ed un documentario, a lei dedicato, a cura della Mostra del Cinema di Roma e proiettato dalla Rai. Giancarlo Giannini, altro attore coprotagonista con lei di molte celebri pellicole, recentemente ha ricordato l’attrice in una lunga intervista.
E non è il solo. Sono molti coloro che ricordano Monica Vitti in occasione del suo compleanno, da Michele Placido a Carlo Verdone a Enrico Vanzina che ha commentato: “Monica ha una bellezza unica, sua, personale”. mentre Fulvio Paganini, presidente di Distretto Cinema, ha dichiarato: “Monica Vitti non è solo la grande attrice che tutti conosciamo, emblema dei profondi silenzi del cinema di Antonioni o mattatrice comica nella commedia all’italiana, fino ad allora monopolio di soli uomini, ma è anche il simbolo della diva antidiva, della donna moderna, indipendente, femminista.
Il novantesimo compleanno è solo uno fra i tanti motivi per cui vale la pena celebrarla, per ricordare un’attrice e una donna che resiste comunque e nonostante tutto, la cui immagine rimane inalterata attraverso i decenni”.
Monica Vitti si diploma nel 1953 all’Accademia d’Arte Drammatica e debutta al cinema nel ’55 con un piccolo ruolo nell’ “Adriana Lecouvreur”, a fianco di mostri sacri, come Valentina Cortese e Gabriele Ferzetti.
I cinefili ricordano il sodalizio con Michelangelo Antonioni negli anni ’60, mentre gli spettatori ricordano l’intesa con Alberto Sordi nello spettacolo “Polvere di Stelle”.
Sempre negli anni ’60, grazie a Mario Monicelli, interpreta, da protagonista, “La ragazza con la pistola”.
Lavora con registi, come Dino Risi ed Ettore Scola, ma tutti i grandi registi internazionali la vogliono come interprete dei loro film anche perché, oltre alla bravura e ad un volto bellissimo, sfoggia una voce roca, dal fascino particolare, (anche Claudia Cardinale era molto richiesta negli stessi anni).
Nel 1955 le viene assegnato il “Leone d’Oro” alla carriera, poi, a seguire negli anni, 10 David, 12 Globi d’oro e 3 Nastri d’argento.
Conquista anche le platee televisive insieme a Mina “Milleluci” nel ’74 e “Domenica in”. Vent’anni dopo, scrive due libri autobiografici, firma la sua unica regia “Scandalo segreto”, nel 1990. Porta in teatro la grande commedia americana da “La strana coppia” a “Prima pagina”.
La sua ultima apparizione pubblica risale a 19 anni fa alla prima di “Notre Dame de Paris”, ma già negli anni precedenti le sue apparizioni si erano rarefatte, dopo il suo ritiro dalle scene, nel 2001, quando fu ricevuta al Quirinale per il David di Donatello.
(Novembre 2021)
Guglielmo Chianese, in arte Sergio Bruni
di Luigi Rezzuti
Sergio Bruni nasce a Villaricca il 15 settembre del 1921 e muore il 22 giugno del 2003, per una crisi respiratoria, all’ospedale Santo Spirito di Roma.
Tramonta un mito, un simbolo del Novecento napoletano, la voce di Napoli.
Il cantante nasce in una famiglia povera, frequenta da ragazzino la scuola serale di musica, studia il clarinetto e suona ai vari matrimoni e alle feste di piazza.
Da giovane partecipa, come volontario, alle Quattro giornate di Napoli formando un gruppo di giovani e armandosi con un revolver arrugginito e due bombe a mano.
Poi si iscrive alla scuola di canto del maestro Gaetano Lama e del cantante Vittorio Parisi, diventandone subito il vanto.
Da quando esordisce, il 14 maggio del 1944, al Teatro Reale di Napoli, è un susseguirsi di successi.
Ma l’anno della definitiva consacrazione è il 1948, quando inizia ad incidere per “La Voce del Padrone” restandovi per un ventennio.
Da questo momento impone il suo stile interpretativo, sempre più personale e inconfondibile, con un grande consenso popolare, che lo accompagnerà per tutta la sua carriera.
Partecipa a ben 12 Festival della canzone >napoletana, interpretando canzoni, ancor oggi cantate da tanti autori, come Sciummo, ‘O ritratto ‘e Nanninella, Vieneme ‘nzuonno.
Nel 1960 canta al Festival di Sanremo Serenata a Margellina.
Tra le tante canzoni antiche che ha interpretato, ricordiamo Fenesta vascia, La rumba degli scugnizzi, Carmela e tante altre ancora.
Tutte, una dopo l’altra, di grande successo.
(Settembre 2021)
ARTISTI DI STRADA
di Luigi Rezzuti
Mangiano il fuoco o ingoiano spade, raccontano storie, incantano con musica e perfino con la magia. Artisti di strada, tanto bizzarri quanto affascinanti. Spesso mi fermo ad osservarli, ad ascoltarli. Degli artisti di strada conosco poco, non so neanche chi siano in realtà, possono essere dei senza tetto che provano a racimolare qualche euro con le proprie capacità ma anche viaggiatori di passaggio che chiedono un contributo per riuscire a girare il mondo, sbarcando il lunario esclusivamente con la propria arte. In certi casi sono solo semplici studenti di musica o di teatro, i quali decidono di esibirsi per strada, come Simone, giovane studente del conservatorio che mi ha raccontato la sua storia: “Suonare nelle vie è una grande prova per un aspirante artista. Incontri mille persone che suonano e ti confronti con loro. Conoscersi per strada è molto utile perché permette di creare contatti e di comprendere nuove realtà. Anche da quelli che non hanno mai studiato impari un sacco di cose. Se alla gente piaci, puoi perfino esibirti nei locali. Per me non è un lavoro, anche se mi capita di guadagnarci qualcosa”.
Camminando lungo via Scarlatti incontro, ad un angolo della strada, un altro artista e anche da lui mi faccio raccontare la sua storia.
Enzo, originario del Salento, ha iniziato a fare il giocoliere per conciliare il divertimento e la necessità: “ Con il tempo, però, il mestiere è diventato anche il mio stile di vita – racconta – ho 39 anni e faccio questo lavoro da quando ne avevo 19. La mia disciplina circense preferita è la giocoleria” . L’esperienza di Enzo è cominciata per puro caso: “ Io e alcuni amici ci trovammo al Festival degli Artisti di Strada e ci ì intrufolammo in una postazione vuota per provare a fare il nostro numero e guadagnammo il consenso degli organizzatori. Finì che decisi di continuare l’avventura, sfruttando qualsiasi occasione mi capitasse. Si unì al gruppo anche la mia fidanzata, Monica. Rispetto a tante altre storie d’amore, il percorso per noi è stato più facile perché siamo sempre insieme e abbiamo gli stessi interessi. Le difficoltà, naturalmente, esistono, ma sono compensate dalla bellezza del nostro stile di vita: totale mancanza di abitudini e luoghi sempre diversi aiutano a scoprire tante cose e ad incontrare belle persone. L’inverno è il momento ideale per rifiatare e dedicarsi alla creazione di nuovi progetti, nelle stagioni più calde ci dedichiamo ai viaggi e agli spettacoli! – e di viaggi, in effetti, Enzo ne ha fatti davvero tanti – In questi vent’anni ho girato non soltanto il Sud e l’Italia, ma anche l’Europa”. Della vita degli artisti di strada, però, si dice anche che non sia fatta per tutti, ma non è l’opinione di Enzo : “Io sono sicuro che ognuno di noi è un potenziale mago, clown o giocoliere. L’errore sta nel credere che il talento sia fondamentale perché, in realtà, a fare davvero la differenza sono il sudore e l’allenamento. Queste due cose, insieme, valgono il 99% del risultato finale”.
Tuttavia, c’è anche chi non ce l’ha fatta, come Francesco, chitarrista di 26 anni che ha dovuto rinunciare all’idea di vivere della propria arte dopo aver constatato che questa non gli permetteva di costruirsi un futuro. Una decisione maturata in seguito a una presa di coscienza, durata mesi, se non anni: “ Ci sentivamo diversi da tutti gli altri e volevamo gridarlo al mondo, così abbiamo messo su una band e cominciato a viaggiare e a suonare. Dopo l’entusiasmo dei primi anni, però, le cose hanno iniziato a non funzionare più. Non siamo mai stati in regola e un paio di volte sono venuti i carabinieri a multarci, altre volte siamo stati semplicemente cacciati via. Poi c’è tutto il discorso dei diritti d’autore perché, se vuoi suonare canzoni composte da altri, devi pagare una tassa annuale alla Siae oppure sperare che l’artista in questione abbia autorizzato i musicisti di strada a eseguire delle sue canzoni. Credo, però, che le cose abbiano smesso di funzionare quando ci siamo resi conto di non essere così diversi dagli altri. Mostrare il nostro anticonformismo è diventato meno appagante. E, paradossalmente, è stata proprio la strada a insegnarcelo: tra le migliaia e migliaia di persone che ci sono passate davanti. Mi sono fidanzato, ho iniziato a sentire un bisogno di stabilità che non c’era mai stato prima. Ho smesso di viaggiare e ho trovato un lavoro vero perché mi servivano soldi e le occupazioni saltuarie non potevano più bastare. Forse non era la vita adatta a me”.
Gli chiediamo com’era la vita di cui non ha più voluto sapere. “Capitava che i miei genitori non avessero notizie per giorni e giorni. Se ci spostavamo in un’altra città, il più delle volte lo facevamo in autostop e non era facile trovare un veicolo abbastanza spazioso, considerato che eravamo tre e in più avevamo con noi gli strumenti. Più avanti, dopo aver preso la patente, abbiamo iniziato a guidare a turno la macchina di un nostro amico. Prendevamo autobus o treni soltanto nei casi estremi. Una volta arrivati in città, cercavamo un buon posto per suonare e ci mettevamo all’opera, per racimolare dei soldi che poi dividevamo in parti uguali. Era come in tournee, solo che il nostro palcoscenico era la strada e non eravamo ricchi come i cantanti professionisti, anzi, per risparmiare ci capitava persino di dormire in tenda o in macchina. A volte trovavamo ospitalità da qualche conoscente ma chiaramente non era una soluzione che poteva durare per troppi giorni. Altre volte andavamo negli ostelli della gioventù o cercavamo qualcosa di conveniente, soprattutto in inverno.
Per il cibo ci arrangiavamo allo stesso modo: puntavamo sulla sostanza e sul risparmio, ma ci è capitato anche di andare alla Caritas. Non è che ne vada fiero, adesso. Semplicemente lo facevamo perché ci illudevamo di poter vivere liberamente, facendo unicamente quello che ci piaceva e che ci rendeva felici, senza magari trovare un lavoro noioso o diventare abitudinari. Alla lunga, però, non può funzionare. Se non riesci a farne un lavoro, e molti non ci riescono, devi guardare in faccia la realtà e fare un passo indietro per andare avanti”.
(Febbraio 2021)
Da Nicola Garofano
No, lockdown. Io non voglio restare di nuovo a casa
Patrizia è tornata. Grande successo per il nuovo, divertentissimo video di Tiziana De Giacomo.
Successo mediatico per il ritorno in video di Patrizia, “No, lockdown. Io non voglio restare di nuovo a casa”, la divertente parodia dell’attrice Tiziana De Giacomo, un j’accuse per gli italiani, una denuncia pubblica verso chi, questa estate, non ha continuato con le protezioni da coronavirus. L’intento è divertire le persone ma anche diffondere la consapevolezza sul virus e sulla necessità di prendere tutte le precauzioni possibili per salvare gli altri, oltre che noi stessi. Insieme si può battere il coronavirus.
Il video è disponibile sul seguente link: https://www.facebook.com/TIZIANADEG/videos/388235239000333
Si legge sul profilo Facebook di Tiziana De Giacomo, dopo il successo virale dell’ultimo video su Patrizia:
«Grazie! In tanti mi avete riempita di complimenti, per il video e sono strafelice. Ho cercato, a modo mio, di veicolare un messaggio mettendo in pratica ciò che sono come artista. Non mi piace ostentare, non lo faccio mai. Quel che sono l’ho imparato da grandi maestri e persone che stimo e non ho bisogno di sottolinearlo e vi ringrazio di nuovo. Ma ora ci troviamo in un momento delicato. Sembra che si sia persa la ragione, si sia persa la bellezza, si sia perso tutto. A modo mio, ripeto, con quello che so fare e sono, cerco di esprimere i miei pensieri per fare qualcosa in questa società, ormai, allo sbando. Teniamo duro».
Patrizia, personaggio di ispirazione “gomorriana”, ha molti amici artisti, forse anche lei stessa da sempre sogna di fare l’attrice e combatte per l’arte, quella che avvicina più che mai. L’ultimo Dpcm, per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid-19, ha dato il colpo di grazia ai cinema e ai teatri, chiudendoli del tutto, cancellando concerti e tutti quei momenti artistici che hanno tenuto unite le persone, ispirato, calmato e condiviso durante il lockdown di marzo, quando, sia pure in altre forme, si è sentito il potere dell'arte e si sono rafforzati i legami tra creazione artistica e società.
Anche Tiziana De Giacomo con la sua Patrizia, ha attinto alla sua creatività per trasmettere delle linee guida sulla salute e condividere messaggi di speranza.
Attraverso l'hashtag #PatriziaNonRestaACasa, facciamo capire la nostra posizione contro la decisione di chiudere i cinema e i teatri. É necessario che si alzino voci dal mondo artistico per negoziare con le istituzioni e contrastare questa pessima decisione.
(Novembre 2020)
La musica al tempo del Coronavirus
#IoRestoACasaMo
a cura di Marisa Pumpo Pica
Maurizio Casagrande, insieme a tanti amici artisti, ha voluto rispondere in musica al cambiamento sociale, determinato dall’emergenza Coronavirus.
L’attore e regista napoletano, infatti, con i più grandi protagonisti dello show e del teatro italiano, ha dato vita ad uno straordinario spettacolo, riprendendo un vecchio successo di Renzo Arbore Ma la notte no! (1985), sigla della trasmissione Quelli della notte. Lo ha pubblicato sulla sua pagina Facebook, con larga condivisione da parte di tanti, in questi giorni di forzata permanenza a casa, per il necessario e giusto contenimento del virus.
link al videoclip: https://www.facebook.com/superbighouse/videos/1034382140288464/
La pandemia ha bloccato tutto: arte, teatro, cinema, concerti, musei e gallerie, ma i nostri artisti, talentuosi e creativi, hanno trovato altri modi per far fronte alla crisi. E questa strada l’ha percorsa anche Maurizio Casagrande. Sospeso il tour teatrale del suo spettacolo “Mostri a Parte”, in questo periodo di forzata quarantena, è stato molto attivo sui social, invitando più volte i fans e tutto il pubblico, che lo segue da anni, a rimanere a casa. Ma, affinchè questo suggerimento fosse più suggestivo (ci venga perdonato il gioco di parole), ha escogitato una forma divertente e scanzonata per mettere in scena uno spettacolo, sia pure virtuale, onde l’invito “Rimanete a casa” avesse maggiore presa ed un più forte impatto sociale.
È nata così #IoRestoACasaMo, sulle note, come si è appena detto, in apertura, del celebre motivo, portato al successo da Arbore.
«Sorridere è un atto di resistenza», afferma Maurizio Casagrande.
A tal fine egli ha chiamato a raccolta diversi artisti, noti, ciascuno per i propri settori di appartenenza, (musica, cinema, teatro, televisione), per dar vita ad una video-canzone di straordinaria libertà di espressione, divertente, ma anche con forti richiami alla positività. Ciò facendo, ha voluto ricordare che, indipendentemente da come possano svolgersi gli avvenimenti, torneremo diversi, ma sicuramente più forti., nei nostri pensieri come nei nostri comportamenti futuri.
«In questo periodo, ho raccolto diverse testimonianze, racconta Maurizio Casagrande, in cui si poteva toccare con mano la fragilità delle persone, per l’avvilimento dinanzi alle tante notizie di morte e per la paura di questo virus maledetto. Ciò che mi preoccupa, però, è la gente da sola in casa, depressa, abbattuta, debole psicologicamente, angosciata e spaventata. E, quindi, ritengo che, in questo momento, le persone abbiano bisogno di un sorriso. Il mio grido di speranza è: “Sorridere è un atto di resistenza”. È per resistere che bisogna sorridere. Sorridere non è mancanza di rispetto per chi ci ha lasciato o per chi sta male, ma vuole significare dare forza e sollievo a chi, in questo momento, è debole e sconfortato per la grave situazione».
In ordine alfabetico gli artisti che hanno partecipato: Luca Abete, Paolo Belli, Massimo Boldi, Paolo Conticini, Raul Cremona, Tiziana De Giacomo, Ella Goldmann, Nino Frassica, Massimiliano Gallo, Carmen Giannattasio, Pino Insegno, Simona Izzo, Angelo Pintus, Shalana Santana, Antonio “Stash” Fiodispino, the Jackal: Fabio Balsamo, Ciro Priello, Gianluca Fru, Ricky Tognazzi.
I musicisti: Fabrizio Buongiorno al basso, Giancarlo Ippolito alla batteria, Lorenzo Maffia alle tastiere e Pippo Seno alla chitarra.
Hashtag #IoRestoACasaMo
(Aprile 2020)