EDICOLE VOTIVE DI NAPOLI
di Luigi Rezzuti
Passeggiando per le strade di Napoli, è possibile contare un vasto numero di “altarini”.
Le edicole sacre di Napoli sono tantissime e disseminate per tutta la città.
In realtà poco si sa delle loro origini, visto che a Napoli ce ne sono ancora di antichissime e molto venerate dalla tradizione popolare.
Chiunque lo avesse voluto, sia esso un religioso o un semplice cittadino, poteva realizzare un’edicola votiva.
Al Centro storico di Napoli, ma anche in periferia, il motivo che maggiormente accomuna molte edicole è senza dubbio quello dell’ ex voto per grazia ricevuta.
A Napoli il “tabernacolo”, ossia l’edicola votiva, è oggetto di culto.
Osservando questi “altarini”, si può vedere come la complessità di un fenomeno religioso – devozionale si trasformi dalla dimensione privata a rappresentazione della collettività, che unisce il sacro al pagano, ma che denota anche la creatività estemporanea dei cittadini.
Le edicole votive sono espressione di culto comune e di riconoscenza a Santi e Madonne, ma pure di fede di matrice idolatrica e pagana per calciatori e cantanti di quartiere, eletti come “miti”.
Da piazza del Gesù a Santa Chiara a San Domenico Maggiore, a piazzetta Nilo , dove sorge la famosa scultorea marmorea, detta “Il corpo di Napoli”, a pochi metri dal Cristo velato, qualcuno decise di edificare un’edicola votiva, un piccolo luogo di culto a chi erogò la più grande gioia alla città.
L’immagine del Santo celebrato è il volto di Diego Armando Maradona, il più grande calciatore di tutti i tempi: i miracoli da lui compiuti sono i due scudetti e la Coppa UEFA.
A prima vista è uguale alle migliaia di edicole votive dei quartieri antichi e magari da quelle parti si vedrà anche un po’ di gente, come turisti che scattano foto.
Le edicole votive napoletane sono, per la maggior parte, caratterizzate da immagini, ad eccezione di poche, come quella dedicata a San Gennaro.
Dal punto di vista della loro conformazione architettonica, è possibile cogliere delle differenze tenendo conto delle caratteristiche sociali, economiche, ambientali ed artistiche di coloro che le hanno erette, nonché del manifestarsi, intorno ad alcune di esse, di superstizioni e credenze popolari.
(Aprile 2016)
SERGIO ZAZZERA, Broccolincollina. Fatti, figure e luoghi della collina vomerese (Napoli, Cuzzolin, 2016), pp. 200, €. 13,00.
recensione di Mimmo Piscopo
Con le sue qualità di appassionato ricercatore, Sergio Zazzera attinge all’inesauribile miniera del Vomero, dalla quale, seppure da molti già sviscerata, coglie nuovi risvolti e fatti, che altrimenti finirebbero nell’oblio. Egli con abile minuzia scava in fatti, luoghi e personaggi del quartiere, che dà il sottotitolo al suo lavoro, il cui titolo fa onore al saporito ortaggio, che soltanto pochi fortunati coltivano nei rari superstiti terreni del Petraio, di Cacciottoli e della Pigna. L’autore ha compendiato ben ottanta episodi nel volumetto, di gradevole formato, comodamente tascabile, che napoletanamente può definirsi piccerillo e chino ‘e devozione.
(Febbraio 2016)
BUON COMPLEANNO, TOTO’
di Luigi Rezzuti
Antonio De Curtis, per tutti Totò, il “principe della risata”, destinato a riempire i teatri e le sale cinematografiche, nacque a Napoli, in via Santa Maria Antesaecula, il 15 febbraio del 1898.
La sua reale discendenza era quella del vicolo napoletano, la sua passione fu per le donne, da cui subiva e trasmetteva un fascino, che lo rendeva cantore e poeta “Stu core analfabeta te l’ he purtato a’ scola e s’he ‘mparato a scrivere e s’he mparato a leggere sultanto ‘na parola: Ammore e niente cchiù” .
Ma l’amore non lo ripagò fino a fargli scrivere “ Femmena, tu si’ na mala femmena … Chist’uocchie he fatto chiagnere, lacreme ‘e ‘nfamità …”
Fu un fustigatore dei soprusi e delle prepotenze : “Lei non sa chi sono io…” “Ma mi faccia il piacere”.
Fu sempre dalla parte della povera gente e pregava così il Signore: “Dacci ancora la forza di far ridere gli uomini, di sopportare serenamente le loro assordanti risate e lascia pure che essi ci credano felici. Più ho voglia di piangere e più gli uomini si divertono, ma non lo sanno, un po’ per amor Tuo e un po’ perché hanno pagato il biglietto… Se le mie buffonate servono ad alleviare le loro pene, rendi pure questa mia faccia ancora più ridicola, ma aiutami a portarla in giro con disinvoltura. C’è tanta gente che si diverte a far piangere l’umanità, noi dobbiamo soffrire per divertirli; manda, se puoi, qualcuno su questo mondo capace di far ridere me come io faccio ridere gli altri”.
Totò, il principe della risata, un signore, perché signore si nasce … e lui lo nacque.
Totò, si affaccia alla commedia dell’arte impersonando sul palco l’antagonista di Pulcinella.
Quando entra nel mondo del cinema, sono copiosi i film che interpreta.
Secondo un recente sondaggio, Totò risulta essere il comico italiano più conosciuto ed amato, molti film vengono oggi trasmessi dalle TV nazionali e private, riscuotendo successo anche tra il pubblico più giovane.
Ma non solo. Il “principe della risata” si distingue pure al di fuori del mondo in bianco e nero. Ha lasciato, infatti, notevoli contributi come poeta, paroliere e cantante, con due esperienze al Festival di Sanremo. La prima esperienza, nel 1954, quando presentò la canzone “Con te”, una lettera d’amore in musica. Il brano fu interpretato da Achille Togliani e dalla coppia Flo Sandon’s e Natalino Otto, approdando in finale.
Cinque anni dopo, una seconda esperienza, partecipando come presidente della commissione esaminatrice del Festival di Sanremo. Ma, accorgendosi che tutto era stato già deciso, indignato si dimise.
Intanto, però, ci chiediamo “Che fine ha fatto il museo di Totò, il cui primo annuncio risale al lontano 1996? Ancor oggi non si conoscono i motivi della ritardata apertura. Essi restano avvolti nel mistero. Di anno in anno l’appuntamento è stato sempre rinviato”.
Il museo doveva avere la sua sede nel monumentale Palazzo dello Spagnolo, in via Vergini, nel rione Sanità, cuore del centro storico cittadino.
(Febbraio 2016)
Alighiero Noschese. Un artista dimenticato
di Luigi Rezzuti
Alighiero Noschese è nato a Napoli, in via Palizzi, al Vomero, il 25 novembre del 1932 ed è morto il 3 dicembre del 1979, all’età di 47 anni.
Riposa, per sua volontà, nel cimitero di San Giorgio a Cremano.
La città di Roma gli ha dedicato una strada, come ha fatto il Comune di San Giorgio a Cremano, sia a lui che a Troisi.
La proposta di intitolargli una strada a Napoli fu indirizzata a Palazzo San Giacomo, in occasione dell’anniversario della morte dell’artista.
Dopo questa richiesta la commissione toponomastica, nel corso di una riunione, approvò la proposta di intitolare una strada ad Alighiero Noschese, da individuare preferibilmente nella zona collinare della città.
Da allora, sono trascorsi molti anni e, nonostante l’individuazione della strada, cui era connessa l’installazione della lapide con l’intitolazione, non si è saputo più nulla.
Noschese ha frequentato il liceo Pontano e, dopo essersi diplomato, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza, ove fu allievo, tra gli altri, di Giovanni Leone, il quale, venuto a conoscenza del fatto che quel giovane studente eseguiva magistralmente la sua imitazione, gli chiese di ascoltarla.
Si narra che Noschese avesse sostenuto due esami orali, filosofia del diritto e diritto ecclesiastico, parlando con la voce di Amedeo Nazzari, al primo esame, e con quella di Totò, al secondo.
Dopo aver tentato, senza fortuna, la carriera di giornalista, fu assunto nel giornale radio della Rai.
Negli anni Cinquanta entrò a far parte della Compagnia di Prosa della Rai, alternando l’attività di attore a quella di imitatore.
Garinei e Giovannini gli affidarono alcuni spettacoli come “Caccia al tesoro”, “Scanzonatissima”.
In questi due spettacoli Noschese sperimentò, per la prima volta, l’imitazione di personaggi politici e, paradossalmente, parve non destare irritazione tra i politici imitati, quali Ugo la Malfa, Giovanni Leone e Giulio Andreotti, anzi essi sembravano rallegrarsi per l’effetto di maggior visibilità che si andava creando intorno a loro, grazie a Noschese.
Le cronache raccontano che la madre di Giulio Andreotti avesse visto alla televisione un’imitazione del figlio da parte di Alighiero Noschese così ben riuscita da non accorgersi della finzione, tanto da telefonare al figlio per rimproverarlo: “Ma come ti è venuto in mente di andare a cantare in televisione?”.
La consacrazione avvenne nel 1969 con la partecipazione al varietà televisivo del sabato sera “Doppia Coppia”.
Da quel momento, a detta dello stesso Noschese, pare che molti personaggi della TV, come Mario Pastore, Ruggiero Orlando, Tito Stagno, Ugo Zatterin e della politica gli abbiano espressamente chiesto di essere imitati, sia per acquistare maggior visibilità sia per non essere considerati come personaggi di secondo piano.
L’ultimo programma televisivo cui partecipò “Ma che sera”, condotto da Raffaella Carrà nel 1978, avrebbe dovuto segnare il suo rientro dopo quattro anni di silenzio.
La mattina del 3 dicembre 1979, a 47 anni, Noschese si tolse la vita sparandosi un colpo di pistola alla tempia, nella cappella del giardino della clinica romana Villa Stuart, dove era ricoverato.
Secondo una versione, Noschese, per scherzo, avrebbe simulato al telefono la voce del neurologo che lo aveva in cura, chiamando l’internista, per chiedergli i risultati degli esami clinici e così avrebbe appreso dal sanitario di essere affetto da un cancro inguaribile, che lo destinava a morte imminente.
Alighiero Noschese riposa nel cimitero di San Giorgio a Cremano, in una cappella polverosa, transennata, con l’intonaco pericolante ed invasa da calcinacci.
“Lo’hanno dimenticato. Che peccato! - si rammarica il fioraio di fronte al cimitero – La gente viene a visitarlo, ci chiede dove è la tomba. Eccola: c’è una lucina accesa e un geranio appassito”.
(Gennaio 2021)